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Elezioni USA: l’incertezza degli elettori si misura sui siti di scommesse

La gran parte dei sondaggi ci dice che i due candidati alle presidenziali statunitensi, Kamala Harris e Donald Trump, sono vicinissimi, quanto a percentuali di voto, e che non è possibile quindi valutare con una certa, fondata, probabilità, chi vincerà questa sfida elettorale. C’è però un luogo dove questa incertezza non domina in modo così netto. È il settore delle scommesse. Le maggiori piattaforme di scommesse online danno, infatti, Trump in vantaggio su Harris. Prendiamo per esempio una di queste, Polymarket. Ieri Polymarket dava Trump al 67 per cento, Harris al 33. Un’altra tra queste piattaforme di scommesse online, Kalshi, dava Trump al 62, Harris al 38. In altre parole, lo scommettitore riceve un dollaro per ogni 62 cents scommessi su Trump. Riceve un dollaro per ogni 38 cents scommessi su Harris. Per i siti di scommesse non sembra quindi esserci alcun dubbio. Trump vincerà queste elezioni. Nel 2016, va ricordato, davano Hillary Clinton come favorita, ma non così favorita come dicevano i sondaggi. Nel 2020, davano Joe Biden vittorioso, ma non con le percentuali così ampie suggerite dai sondaggi ufficiali. A parte il dato in sé, chi vince la sfida presidenziale, alcuni esperti e studiosi del fenomeno fanno notare due cose. La prima: l’aumento notevole delle scommesse online in quest’ultimo anno. Il fenomeno, spiegano, dipende dal clima di incertezza economica che ci circonda. Tutti i periodi di non particolare fortuna economica sono segnati da un rialzo delle scommesse. Si scommette, nella speranza di trovare, nel gioco, nell’affidarsi al caso, alla fortuna, quella fortuna che non si trova nella vita di tutti i giorni. C’è però un altro dato importante. Questo rivolgersi ai siti di scommesse, questa fiducia nella loro capacità di previsione, arriva nel momento in cui i media più tradizionali sono invece circondati da una larga mancanza di credibilità. Il tema, va detto, ha percorso tutta questa campagna elettorale. Jeff Bezos, il proprietario del Washington Post ha per esempio giustificato la cancellazione del tradizionale endorsement del giornale per un candidato – era già pronto l’endorsement, il sostegno per Kamala Harris – ha cancellato l’endorsement, Bezos, spiegando che si tratta di una pratica inutile ed obsoleta. Da un lato, non cambia davvero le cose, nel senso che non convince nessuno, la gente, i lettori, sanno già chi votare e non è il sostegno ufficiale di un giornale a cambiare le cose. Dall’altro, l’endorsement, secondo Bezos, farebbe apparire il giornale biased, sbilanciato, non oggettivo. Ora, probabile che ci siano anche altre ragioni che hanno convinto Bezos a ritirare l’endorsement. Per esempio, i suoi interessi economici. Come proprietario di Amazon e di Blue Origin, azienda di servizi spaziali, Bezos ha bisogno di buone relazioni con il governo USA. L’avversione pregiudiziale di Trump, ben posizionato per tornare alla Casa Bianca, sarebbe un duro colpo per i suoi interessi economici. Detto questo, è indicativo che Bezos citi proprio il tema della credibilità dei media tradizionali per giustificare la sua scelta. Del resto, queste elezioni hanno dimostrato, stanno dimostrando una cosa. E cioè come il tradizionale criterio di realtà, di verità, si stia ormai pericolosamente dissolvendo. Manipolazione dell’intelligenza artificiale, ingerenza di potenze straniere, candidati che dicono di tutto e di più, polarizzazione delle posizioni politiche, tutto questo mette i media, i giornali, di fronte a un compito sempre più arduo, quello di contrastare la marea montante della disinformazione, della manipolazione. La prima vittima, del generale dissolvimento del concetto di verità, sono proprio i media, la stampa tradizionale. E se il concetto di verità appare sempre più vago, e lontano, alla fine i siti di scommesse, che invitano a puntare su un incerto futuro, appaiono paradossalmente il luogo perfetto dove informarsi su chi è in vantaggio in queste elezioni.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Più passano le ore e più il disastro dell’alluvione nel sud della Spagna assume proporzioni drammatiche. Il numero dei morti oggi è arrivato a 158. A mano a mano che i soccorritori riescono a raggiungere auto sommerse dal fango, garage inondati, seminterrati allagati, il numero cresce. E non si sa esattamente quanti siano i dispersi. Potrebbero essere centinaia. Oggi a Valencia, la cui provincia resta la più colpita anche se l’emergenza si allarga ad altre zone, è arrivato il premier Sanchez: ha promesso aiuti e un massiccio dispiegamento di forze. Di certo, i danni sono enormi. Intanto crescono i dubbi sul sistema di allerta gestito dal governatore della provincia di Valencia, accusato da più parti di non aver messo a punto un sistema efficace per avvertire la popolazione. Il racconto della giornata dal nostro corrispondente Giulio Maria Piantadosi.

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    1) “E’ come l’apocalisse, la gente è nel panico”. In Esteri la testimonianza da Valencia dopo la terribile alluvione che ha provocato quasi 160 morti. Intanto crescono le polemiche per l’allarme dato troppo tardi. (Elena Brizzi) 2) Medio oriente. Gli inviati di Joe Biden fanno l’ultimo tentativo per far ripartire i colloqui per una tregua a Gaza e in Libano prima delle elezioni americane, ma dal campo la pace sembra lontanissima. (Ugo Tramballi, Danilo De Biasio, Avi Mograbi - regista israeliano) 3) Stati Uniti, a pochi giorni dalle presidenziali, l'incertezza profonda degli americani si misura sui siti di scommesse online. (Roberto Festa) 4) Più di duemila denunce, oltre 150 vittime e centinaia di abusatori. In Irlanda continua l’inchiesta sugli abusi sessuali commessi nelle scuole cattoliche negli anni 70. (Federico Tulli - Left) 5) La cop16 sulla biodiversità si avvia alla chiusura, ma pochi soldi sono sul tavolo e i progressi sperati non sono all’orizzonte. (Valentina Marconi - Zoological society of London)

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