L’intensità degli attacchi israeliani sul Libano degli ultimi giorni ha messo fortemente in crisi Hezbollah. Ieri il numero due dell’organizzazione, in un messaggio trasmesso in TV, ha detto che il gruppo continuerà a combattere Israele e che è pronto, prontissimo, a un’incursione di terra sul suo territorio – cosa che oltretutto stando alle dichiarazioni israeliane e alle notizie che arrivano dagli Stati Uniti potrebbe essere imminente.
Naim Qassem ha anche detto che finora Hezbollah ha usato solo una minima parte del suo potenziale, in sostanza del suo arsenale. Dal Libano continuano a partire razzi in direzione del territorio israeliano. I circa 60mila israeliani che vivono nel nord del paese non sono assolutamente nelle condizioni di tornare nelle loro case. Ma l’impatto dei raid di Hezbollah è molto limitato. Nulla in confronto a quelli israeliani sul Libano, che oltre a fare morti e sfollati tra la popolazione civile, continuano a colpire le infrastrutture dell’organizzazione.
Hezbollah userà probabilmente i funerali di Nasrallah, non ancora annunciati, per cercare di consolidare il suo supporto interno. Ma vista la storia del Libano molte persone non si sentiranno in ogni caso parte del suo progetto. Una battaglia di terra potrebbe riequilibrare, almeno parzialmente, le forze in campo. Negli anni scorsi molti miliziani si sono fatti le ossa combattendo in Siria al fianco del regime di Assad, ma non dimentichiamo che molti altri, diverse migliaia, sono morti. E forse a un certo punto Hezbollah deciderà anche di usare i missili più potenti del suo arsenale, ma al momento è sulla difensiva e in forte difficoltà.
Stessa condizione per tutto l’asse della resistenza guidato dall’Iran. Anche ieri Tehran ha minacciato una risposta: i crimini israeliani in Libano non rimarranno impuniti. Ma nella sostanza l’uccisione del suo principale alleato in Medio Oriente, così come le grosse difficoltà dell’organizzazione che gli iraniani avevano creato negli anni ‘80 in chiave anti-israeliana – Hezbollah appunto – rimangono tutte senza risposta. O meglio nessun alleato, a partire dall’Iran, ha messo in campo una strategia in grado di mettere in difficoltà Israele.
Ieri pomeriggio Netanyahu ha lanciato l’ennesima provocazione. In un messaggio video diretto proprio agli iraniani ha detto che le autorità di Teheran non hanno a cuore il futuro dei loro cittadini e che un giorno, caduto il regime, i due popoli vivranno in pace.
L’Iran sembra consapevole della sua inferiorità militare e tecnologica rispetto a Israele. In fondo è stata proprio la tecnologia, combinata con il lavoro dei servizi, a permettere agli israeliani di mettere in forte crisi Hezbollah. E non sembra aver intenzione di entrare in una guerra aperta.
I suoi alleati nella regione, come era già successo nei mesi scorsi, anche se non tutti, stanno cercando di attaccare Israele, ma nulla in grado di mettere in crisi il nemico. La Siria per esempio, unico attore statale dell’asse della resistenza, ha mantenuto i confini con Israele molto tranquilli. La domanda rimane, ovviamente, a maggior ragione se ci fosse un’operazione israeliana di terra: quando e come l’asse della resistenza cercherà di colpire duramente Israele? Perché finora sembra più che altro sulla difensiva e in forte difficoltà.