Nato nel 1948 a Faisalabad, in Pakistan, Nusrat Fateh Ali Khan aveva alle spalle una tradizione familiare plurisecolare di canto qawwali, una forma di canto devozionale della corrente islamica del sufismo. In possesso di straordinarie doti vocali, Nusrat Fateh Ali Khan cominciò a esibirsi in pubblico a 15 anni e, nel 1971, prese la guida dell’ensemble musicale familiare. Cantando in urdu, in punjabi e, a volte, anche in persiano e in altre lingue, Nusrat, i cui successi venivano trasmessi dalla radio, negli anni ’70 diventò una star in Pakistan.
Già nei primi anni ’80, la Oriental Star Agency, un’etichetta di Birmingham che importava musica da India e Pakistan per la grande comunità immigrata e valorizzava talenti locali – fu un’etichetta cruciale per l’emergere del fenomeno del bhangra – cominciò a promuovere Nusrat Fateh Ali Khan in Europa, dando un formato compatibile con le durate discografiche alle interpretazioni di brani con una rilevante componente di improvvisazione. Queste performance, nelle quali Nusrat eccelleva, potevano raggiungere lunghezze fluviali. Tuttavia, lo spartiacque fu rappresentato dall’esibizione di Nusrat al WOMAD Festival di Londra nel 1985, un evento di World Music creato nel 1980 da Peter Gabriel.
Nel 1988, Gabriel lo coinvolse nella musica per il film L’ultima tentazione di Cristo e, nello stesso periodo, lo fece firmare per la sua nuova etichetta discografica Real World, con la quale Nusrat realizzò album sia di qawwali tradizionale sia di qawwali ibridato con elementi pop, curati da Michael Brook. Negli anni ’90, il successo di Nusrat Fateh Ali Khan fu enorme: il cantante pakistano si esibì in tutto il mondo, affascinando il pubblico con l’acrobatico virtuosismo e la profondità del suo canto. Nel frattempo, si moltiplicarono le collaborazioni con artisti pop. Il suo successo fu enorme anche in India, dove alcuni suoi brani entrarono persino nelle colonne sonore di film di Bollywood.
Afflitto da una serie di problemi di salute, Nusrat Fateh Ali Khan morì per un arresto cardiaco nel 1997, a soli 48 anni.
Il 20 settembre, la Real World ha pubblicato in CD e vinile Chain of Light, un album ricavato da una seduta di registrazione effettuata per l’etichetta nel 1990, ma rimasta dimenticata negli archivi. Contiene quattro brani di qawwali tradizionale, cantati in urdu, punjabi e persiano, che permettono di ritrovare, nel momento del suo massimo splendore, una delle più grandi e affascinanti voci del ‘900. È in arrivo anche un accurato documentario, Ustad, che sarà pronto tra circa un anno.
Chain of Light non solo ci offre delle pagine inedite dell’arte di Nusrat Fateh Ali Khan, ma ci riporta alla fase ruggente della World Music, a un periodo di grandi scoperte e di figure carismatiche. Tuttavia, emerge anche una certa malinconia nel ripensare a un momento di straordinaria apertura al nuovo e all’altro, che forse ha sedimentato meno di quanto ci si aspettasse. Sì, Nusrat Fateh Ali Khan conquistava con una personalità eccezionale, ma, a quasi trent’anni dalla sua morte, cosa è rimasto nei nostri consumi e interessi musicali dell’arte e della tradizione che rappresentava, e che continua ancora oggi attraverso altri interpreti?