Parli di ius scholae e salta il tappo: è un profluvio di incomprensioni, paure, ignoranza, falsità, livore, odio. Prima che di stranieri si dovrebbe dire dello straniero che abita in noi. Non lo vogliamo vedere, ma c’è. Lo rifiutiamo, intanto cerchiam di espellere migranti, deportarli in Albania, salvati nel Mediterraneo spedirli a Genova o Ravenna e riportarli in bus in Calabria; ostacoliamo diritti a chi è già qui; straparliamo su colore della pelle e italianità. Perché? Difficile ammetterlo: anche noi siam stranieri, stranieri a noi stessi. Non è scristianizzazione, rifiuto della Bibbia che raccomanda: «Lo straniero che soggiorna fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto». È più un mutamento antropologico in termini di disumanità. Siamo stranieri a noi stessi perché non ci conosciamo e nemmeno c’interessa, facciam poco per sapere qualcosa di noi e di altri: desideri, voglie, sogni, cose impensabili, radici, culture. Straniero è il nostro cuore nero. Invece del rosso che esprime sentimenti, comprensione, amicizia, amore, prossimità, uguaglianza, è un cuore che ha il colore di ombre, sospetti, diffidenze, ostilità, distinzioni “noi/loro”. Responsabilità nostra. Lo straniero non sarà più tale se cominceremo a riconciliarci con noi stessi: le nostre parti oscure, l’istinto a unicità, superiorità, omologazione, supremazia. Il nero o lo vedi, riconosci, integri, ti misuri o ti possiede. Non cessiamo mai di credere nelle battaglie, a stabilire convergenze se possibile alleanze per stabilire chiari e precisi criteri giuridici d’accoglienza e inserimento, per riconoscere la cittadinanza, per interrompere le simmetrie del “noi” e del “loro”; procediamo con fiducia, responsabilità, consapevolezza. Cittadinanza, eguaglianza, democrazia, libertà son beni molto fragili. Vivono e progrediscono ma è un attimo e si dissolvono. Tenerli è questione di qualità, fatica, pratica quotidiana, relazioni effettive buone, lungimiranza. Scriveva Sant’Agostino: «Cristiano è colui che anche nella sua casa riconosce sé stesso come un viandante, uno straniero». Il Palazzo del “Dio, patria, famiglia” è davvero una casa?
Cuore nero, stranieri a sé stessi
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Autore articolo
Marco Garzonio