Quando Fabrice Neaud inizia a scrivere il suo Diario a fumetti, nel 1992, ha 23 anni, è da poco uscito dall’accademia di belle arti e non ha un lavoro fisso, ha pochi soldi in tasca, un piccolo circolo di amici artisti come lui e nessuna relazione stabile. Del resto, Fabrice è omosessuale: un orientamento sessuale che in Francia era reato fino al 1982. Appena 10 anni prima. E che in quegli anni è vagamente e dolorosamente tollerato, anche nei circoli artistici e progressisti. L’omofobia esiste ed è violenta ma ancora non si chiama nemmeno così e i gay vengono o rimandati a un’immagine stereotipata di effeminati destinati a ritrovarsi nei loro bar-ghetti, a volte orgogliosamente rivendicati. O relegati tra i marginali e gli spostati in cerca di facili avventure tra le ombre dei giardini pubblici. Un luogo assiduamente frequentato dall’autore protagonista, con esiti più o meno felici.
Considerato sin dalla pubblicazione delle prime tavole in una rivista indipendente come uno dei capolavori del fumetto contemporaneo e un esempio innovativo di come realizzare un’autobiografia a fumetti, il graphic novel Diario è in realtà una somma di quattro diari, che vanno dal febbraio del 92 al luglio del 96. Pubblicati da Tunué in versione integrale in un bellissimo volume di oltre 800 pagine, raccontano la vita quotidiana di Fabrice in una città di provincia che non nominerà mai ma di cui disegna quasi ogni angolo e che chi conosce la zona identifica facilmente con Angoulême. La capitale del fumetto francese.
Del grande festival di gennaio però si vede relativamente poco in questo romanzo denso e complesso, che non è solo una biografia e che merita di essere letto e riletto per apprezzarne tutte le sfaccettature. È in parte sfogo personale, racconto di pulsioni sessuali e di relazioni importanti, sorta di autoanalisi di un ragazzo sensibile, tormentato e intrinsecamente diverso. In parte racconto della vita precaria nella provincia francese. In parte luogo di riflessioni filosofiche ed esistenziali. Ma anche luogo di sperimentazione grafica, formale e narrativa e costante interrogativo sul potere e il ruolo dell’immagine e su come trasporre la realtà. Come spiega lo stesso Neaud in una postfazione scritta nel 2021 e qui inserita alla fine del primo diario, l’autore ha lavorato fino al 2002 su appunti e schizzi presi dal vivo negli anni del racconto per costruire poi la sua storia. La messa in scena non è quindi spontanea ma studiata, ritmata, adattata all’uso di un tratto a pennino semplice e china che non fu una scelta individuale quanto la risposta logica ai bisogni tipografici dell’epoca. Le pagine in stile realista, capaci di trasmettere il disagio interiore e concreto vissuti da Neaud e contemporaneamente di catturare il lettore con espedienti narrativi diversissimi, sono costantemente attraversate dalla questione della rappresentazione dell’altro. Mettendosi a nudo, sbucciandosi l’anima, come scrive, Neaud mette anche e soprattutto a nudo gli altri e il mondo che lo circonda. Incorrendo spesso nelle ire e lo sdegno di chi si riconosce nei suoi disegni, senza ritrovarcisi. Del resto, lo avvisa l’amico e futuro editore Loïc, raccontarsi vuol dire farsi nemici dappertutto. Anche e soprattutto se il tuo modo di farlo ha segnato indelebilmente il modo di fare fumetti.
Diario. Di Fabrice Neaud, traduzione di Stefano Andrea Cresti. 848 pagine in bianco e nero. Tunuè, 38 euro.