È bastato che un giornalista le chiedesse conto dell’aggressione violenta a un deputato del Movimento 5 Stelle alla Camera da parte di deputati di Lega e Fratelli d’Italia, notizia che ha preso i titoli di tutti i giornali del mondo oscurando il G7, che la Meloni fino a quel momento tutta compresa nel suo ruolo istituzionale cambiasse espressione. E all’improvviso, parole che non trovano aggettivi:
“è molto grave che ci siano esponenti della maggioranza che cadono nelle provocazioni” ha detto la presidente del Consiglio.
Come sarebbe, “esponenti della maggioranza che cadono nelle provocazioni”?
Solo in apparenza si tratta di un rimprovero ai suoi, un po’ sul filo magari. Basta ascoltare il resto per capire che siamo di fronte a qualcosa di molto diverso:
“prevedo che le provocazioni aumenteranno, gli italiani si interroghino su quale sia l’amore per la propria nazione di esponenti politici che cercano di provocare dileggiando membri del governo mentre gli occhi del mondo sono puntati su di noi”.
Pronunciate dalla presidente del Consiglio in carica, sono parole terribili.
Colpevolizzazione della vittima. Un metodo antico quanto la violenza.
Ma non basta. Meloni riesce a infilarne un’altra. Le chiedono dei diritti che hanno cercato di fare sparire dalla dichiarazione finale: aborto, tematiche Lgbt.
Lei nega tutto. E se la prende coi giornalisti:
“un racconto animato da diversi presunti osservatori”. Presunti. Aggettivo grondante disprezzo.
“Non abbiamo fatto nessun passo indietro su aborto, Lgbt e compagnia cantante”. Compagnia cantante. Parole di scherno che rimbombano nella sala tra il gelo dei cronisti. Un dileggio accompagnato dalle smorfie, dagli “eeh” polemici, da “le vostre aspettative sono state deluse”.
Mancavano i gestacci con la mano. E poi saremmo stati nel pieno di un comizio di strada di questa destra impresentabile. Che non tollera le proteste e le chiama provocazioni. Che vomita sulle critiche. Che spernacchia chi lotta per i diritti civili. Che risponde a mani in faccia.
Giorgia Meloni, il volto di una destra che non tollera proteste e risponde a mani in faccia
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Autore articolo
Luigi Ambrosio