Appunti sulla mondialità

Cina, India, giganti…disuguaglianze

Nei processi di modernizzazione e crescita economica che, negli ultimi trent’anni, hanno toccato diversi Paesi del mondo, una costante che si è ripetuta ovunque è che, insieme al PIL pro capite dei cittadini, è cresciuto in modo ben più marcato il divario sociale tra i più ricchi e i più poveri. Nulla cambia se si tratta di un Paese a economia di mercato come l’India oppure dell’ultimo grande Paese comunista, la Cina, che è passata dall’essere uno Stato poverissimo ancora alla metà del Novecento a superare la media mondiale del reddito pro capite circa vent’anni fa. Ora che la sua vertiginosa crescita sta rallentando, si possono intravedere le sacche di disuguaglianza che si sono solidificate in questi anni. Fatto 100 il PIL pro capite dei cinesi, quello dei cittadini di Pechino e Shanghai è circa 200, mentre quello delle province più remore del Paese si aggira attorno a 50. Le privatizzazioni e le aperture di mercato all’imprenditoria nazionale hanno fatto sì che un Paese che con la rivoluzione maoista aveva pressoché abolito le differenze sociali si trovi oggi con il 10% della popolazione che controlla il 42% del reddito nazionale, un dato molto vicino al 45% degli Stati Uniti.

L’India, che nel 2023 è diventata lo Stato più popoloso al mondo sopravanzando proprio la Cina, ha una storia diversissima da quella cinese da molti punti di vista: è stata una colonia integrata in un impero mondiale, poi ha scelto la democrazia liberale e la forma federale. Eppure, la sua forte crescita economica ricorda molto la situazione che la Cina ha vissuto circa 15 anni fa. Con la differenza che l’India, segnata anche dal sistema delle caste e dalla presenza della nobiltà terriera, presenta una concentrazione della ricchezza fin d’ora molto marcata, e in prospettiva ha una struttura economica ancora più polarizzata di quella cinese: nel 2023, l’1% degli indiani ha guadagnato il 23% del reddito nazionale complessivo e deteneva il 40% delle ricchezze del Paese. Il dato più curioso è che si tratta di una concentrazione maggiore rispetto a quella che si registrava un secolo fa, durante la dominazione britannica. La disparità nella configurazione del reddito si è ridotta nei decenni successivi all’indipendenza, ma è tornata ad aumentare dagli anni ’80. L’India di oggi, più dinamica, moderna e in crescita, è ormai allineata con gli storici campioni mondiali della disuguaglianza, che tra i grandi Paesi sono Brasile e Stati Uniti. Una ricerca dell’osservatorio sulle disuguaglianze diretto dall’economista francese Thomas Piketty evidenzia come, a partire dalle liberalizzazioni dei primi anni ’90, la fascia del 10% più ricco della popolazione indiana abbia accresciuto vertiginosamente la sua quota percentuale di reddito, raggiungendo il 58% del reddito nazionale, mentre il 90% degli indiani si spartisce il restante 42%. Non a caso, nella classifica degli uomini più ricchi dell’Asia i primi due sono indiani e al terzo posto troviamo un cinese.

I forti processi di crescita economica di questi ultimi decenni, per Paesi giganteschi dal punto di vista sia geografico sia demografico, stanno dunque riproducendo un vecchio modello di società caratterizzato da una grande concentrazione di ricchezza in mano a pochi soggetti e dalla presenza di isole di sviluppo, concentrate generalmente in pochi territori urbani, assai più ricche delle periferie, in bilico tra crescita e povertà, e delle province periferiche, totalmente tagliate fuori dai processi in corso. Anche in questi Paesi, la mano invisibile del mercato, lasciata a se stessa, non riesce a redistribuire in modo equilibrato reddito e servizi. Questa è una funzione che finora è sempre rimasta in capo agli Stati, che per svolgerla adeguatamente non possono essere solo macchine burocratiche autoreferenziali come quello cinese, né un caotico insieme di interessi etnici, nazionali e regionali come quello indiano, che peraltro sta vivendo anche una crisi profonda sul piano della fedeltà ai valori della democrazia liberale. Le due grandi potenze emergenti del XXI secolo non sfuggono dunque a un problema ben conosciuto in Occidente, quello delle diseguaglianze, contro il quale “noi”, oltre a promuovere convegni di studio, poco o nulla facciamo di concreto. Esattamente come accade da “loro”.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Più centri di aggregazione contro violenza e bullismo. Stamattina le vie del centro di Vigevano, in provincia di Pavia, si sono riempite di studenti e studentesse in corteo. In settecento, provenienti dai tre principali istituti scolastici della città, hanno sfilato per chiedere maggiore attenzione e sensibilità alla sicurezza: aggressioni e violenze, dicono, sono aumentate negli ultimi mesi. Per migliorare questa situazione, i giovani chiedono più luoghi di aggregazione, in particolare più campetti sportivi che diano a ragazze e ragazzi un’alternativa ai bar del centro. I rappresentanti degli istituti coinvolti hanno anche incontrato la vicesindaca Marzia Segù per avanzare le proprie richieste. Gabriele Carnevale Schianca, rappresentante d’istituto del Liceo Cairoli di Vigevano, ci ha raccontato i principali motivi del corteo pacifico di questa mattina. A cura di Chiara Manetti.

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    1) Marine Le Pen è stata condannata. La leader del partito di estrema destra francese Rassemblement National sarà ineleggibile per 5 anni. Il presidente del partito, Bardella, chiama una mobilitazione popolare. (Francesco Giorgini) 2) La rivoluzione globale di Trump. L’amministrazione statunitense, chiedendo alle aziende europee di cancellare i programmi di inclusione, punta alla conquista culturale del vecchio continente. (Martino Mazzonis - americanista) 3) Gaza, mille morti in 2 settimane. Israele continua a bombardare la striscia anche durante la festa per la fine del ramadan e ordina l’evacuazione della città di Rafah. Decine di migliaia di persone ancora in fuga. (Sami Abuomar) 4) In Myanmar le vittime del terremoto sono più di duemila. Si continua a scavare tra le macerie, mentre la distribuzione degli aiuti è complicata dal conflitto in corso. (Nicolò Tassoni Estense di Castelvecchio - Ambasciatore italiano in Myanmar) 5) A Madrid oggi un altro incontro sulla difesa europea: il G5+. I vertici si moltiplicano ma le decisione concrete scarseggiano. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Turchia, dopo la grande manifestazione anti governativa del week end, ora per i manifestanti e l’opposizione di Erdogan è il momento della resistenza. (Serena Tarabini)

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