Alcuni giorni fa ho chiesto a Marina Petrillo se le andava di partecipare al tributo della radio a Kurt Cobain in occasione del 30ennale dalla sua morte, in onda a Playground. Speravo (e in fondo sapevo) che mi avrebbe detto di sì.
Marina ha scritto questo bellissimo testo che ci ha fatto emozionare tutti.
Grazie Marina.
Forse a trent’anni dalla tua morte capisco meglio. Oppure ti capisco come un figlio, o un nipote – amato ragazzo suicida. Avevi il diritto di dire basta. Lo sapevamo già, ci abbiamo solo messo tutta la vita ad accettarlo.
Oggi, dopo trent’anni, riesco a soffermarmi in cima a quella casa americana – che non sembra di nessuno – finché non scoppia lo sparo. E sto lì con te per tre giorni, finché un operaio trova il tuo corpo e avverte qualcuno. Della tua morte, ecco, mi pare violenta. Ma almeno è finita.
Oggi ti capisco per la tua voglia di morire. Ci sto comoda. Tu non avevi che 27 anni, adesso io ci sto due volte abbondanti. E mi penso e ripenso e quello che conta è che alla fine ti abbiamo amato moltissimo.
I tuoi grandi occhi tristissimi, che tutti avevano capito. I capelli biondi che cadevano sul viso, i jeans, le All Stars. A scuola ti hanno obbligato a fare tutto con la destra, ma la sinistra imparata da solo era quella della chitarra.
Eri stupendo ma non eri felice. Cercavi una fine per il tuo dispiacere, lo chiamavi così. L’America bianca, l’America armata, l’America che vende pop, l’America del patriarcato. Tu le odiavi con tutto te stesso.
Alla fine, fragile, inutile, tu ti togli di mezzo. Loro, madre forte e piccolissima figlia, come dicevi nella tua lettera se la caveranno.
Forse lo sapevi.
Non importa, Kurt, non importa.
L’urlo, che a te non diceva più niente, continuerà a esplodere dentro di noi.
Marina Petrillo