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Addio a Maryse Condé: una vita di lotta e scrittura

Maryse Condé

Radicale, imprevedibile e profondamente insolente: Maryse Condé è stata questo e tanto altro ancora. Considerata una delle voci più importanti del pensiero nero, la scrittrice, critica, giornalista e professoressa nata nel 1934 a Pointe-à-Pitre, in Guadalupa, nelle Antille francesi, è morta all’età di 90 anni, lasciandoci una trentina di titoli in grado di scorticare, riannodare e rimettere profondamente in discussione i rapporti che formano la cosiddetta Black Atlantic. Ovvero l’identità nera intesa come quel mix storico e culturale sviluppatosi nei territori bagnati dall’Atlantico: dall’Africa Occidentale all’Europa passando dai Caraibi.
Lei, che in Africa ha vissuto e insegnato tra gli anni 50 e 70, dopo aver scoperto a Parigi la storia del colonialismo e dello schiavismo che i suoi genitori, fieri primi borghesi neri della Guadalupa, le avevano sempre nascosto, tornerà in Europa avendo assistito alle violenze dell’epoca postcoloniale. Nella Guinea di Sekou Touré prima e nel Ghana di Kwame Nkrumah poi, dove viene arrestata con l’accusa di essere una spia, ma anche in Mai, Senegal e Costa d’Avorio. Partita con un’idea romantica del continente e con nelle orecchie le parole di Aimé Césare sulla negritude, si scontra con un’altra Africa, che la rifiuta, la ferisce ma la forma anche, segnandola profondamente. Un’Africa che non smetterà mai di amare, al punto da denunciare senza sosta le storture e le politiche che la deturpano.
Uno dei primi grandi successi di quella a cui a 12 anni avevano detto che quelle come lei non potevano scrivere, perché a scrivere erano gli altri – leggi gli uomini, i bianchi, quelli del continente – arriva nell’85 con Ségou. Un romanzo in due volumi sulla fine dell’impero Bambara in Mali tra colonialismo, schiavismo e arrivo dell’Islam, che fu anche un modo per lei di riprocessare attraverso la Storia gli interrogativi sull’identità e le origini diventati fondamentali. Ma negli anni successivi Maryse Condé, che è stata anche presidentessa del Comitato per la memoria dello schiavismo voluto da Chirac e autrice di un rapporto che porterà anche all’istituzione di una giornata di commemorazione nel 2001, ha affrontato nelle sue opere tantissimi problemi sociali contemporanei. Come l’intolleranza, le ineguaglianze, il razzismo, il sessismo, il nazionalismo o l’estremismo.
Uno dei suoi ultimi romanzi, Le Fabuleux et Triste Destin d’Ivan et d’Ivana, racconta il percorso di radicalizzazione di un giovane della Guadalupa e quello quasi agli antipodi di sua sorella, arrivati in Mali in cerca, anche loro, della loro identità. Per il modo in cui ha saputo non offrire risposte ma aprire come sua abitudine nuovi interrogativi, e per il modo in cui ha descritto, con un linguaggio unico e preciso che lei stessa non definisce né francese né creolo ma “lingua condé”, i danni provocati dal colonialismo e il caos del post-colonialismo, questo libro le ha fatto vincere il premio Nobel alternativo per la letteratura nel 2018. Segno che le sue parole e le sue idee sono in grado di far discutere e riflettere ben al di là dei confini di un paese, la Francia, da cui non si è mai sentita veramente apprezzata.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    A partire da poesie e racconti originali, Pippo Delbono mette in scena un gesto di solitaria ribellione, mosso dalla volontà di continuare a vivere, allargando lo sguardo verso ciò che ci circonda, a costo di trovarsi di fronte a una realtà peggiore di quella da cui si era fuggiti. Attraverso il racconto salvifico delle proprie debolezze, paure e speranze, l’artista crea uno spettacolo che è un’invocazione alla rinascita e che, a partire da un’esperienza personale, sfocia nella rappresentazione universale di quel “sentimento di perdita” che riguarda tutti. Il risveglio è un lavoro sulle cadute e i risvegli, dedicato a chi si è addormentato e poi risvegliato, e a chi ancora non lo ha fatto. Attorno a Pippo Delbono, gli attori della Compagnia danzano sulle note struggenti che suonano lamenti di amore e tenerezza evocando un rito sacro, un funerale forse. Sulle note del virtuoso violoncellista Giovanni Ricciardi, in scena con il suo strumento, e su brani che provengono dalla memoria degli anni Settanta, Delbono si ripete: «Devi danzare, danzare nella tua guerra». Ira Rubini l'ha raggiunto per Cult il giorno dopo il debutto milanese del suo spettacolo Il risveglio

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