Il racconto della giornata di venerdì 22 marzo 2024 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. In Ucraina c’è stato un attacco russo su larga scala, che ha preso di mira in particolare le infrastrutture energetiche, mentre a minimizzare sul clima di guerra oggi è stata la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, che ha parlato alla stampa dal vertice di Bruxelles. Nei discorsi di questi giorni al consiglio d’Europa si sono usate, per giustificare le richieste di aumento di spesa militare, di fatto le stesse parole usate ad esempio in pandemia, in un’eterna logica emergenziale.
L’attacco russo su larga scala in Ucraina
In Ucraina c’è stato un attacco russo su larga scala, che ha preso di mira in particolare le infrastrutture energetiche. Almeno 5 persone sono morte, oltre un milione sono rimaste senza elettricità ed è stata danneggiata la più grande diga del paese. Il presidente Zelensky ha commentato tornando a chiedere nuovi sostegni agli alleati occidentali: “I missili russi non hanno ritardi, così come invece li hanno i pacchetti di aiuti per il nostro Paese” ha detto mentre a Bruxelles era riunito il consiglio europeo, finito con un impegno ad accelerare sugli aiuti a Kiev e uno a rafforzare l’Unione europea a livello militare. Il presidente francese Macron ha detto che è stato stabilito un principio, quello che l’Europa dev’essere autosufficiente dal punto di vista della produzione militare, e ha aggiunto che a giugno bisognerà decidere come finanziare questo cambiamento. “Non siamo fan degli eurobond” ha detto per esempio il cancelliere tedesco Scholz, sull’ipotesi che l’Unione si indebiti a livello comune per aumentare le spese militari. Serena Giusti insegna relazioni internazionali alla Scuola universitaria Sant’Anna di Pisa:
A minimizzare sul clima di guerra oggi è stata la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, che ha parlato alla stampa dal vertice di Bruxelles. Da Roma, Anna Bredice:
Il Consiglio europeo dallo stato sociale alle armi
Tra i rischi legati a un aumento degli investimenti militari c’è quello che a essere ridotta sia la spesa per le politiche sociali.
(di Massimo Alberti)
Il ministro delle finanze Christian Lindner lo ha scritto chiaro, nel testo di programma della finanza tedesca: l’attuale stato sociale non può reggere e va tagliato. Mentre su Berlino piovono critiche proprio per il poco impegno nel ridurre le disuguaglianze a fronte della ricchezza diffusa. Soprattutto, mentre la Germania sale all’1,4% del Pil in spesa militare, e si prepara a salire al target del 2%. Mai come ora, la “locomotiva” è rappresentativa di un Europa, una volta culla del welfare, oggi affannata a spostare spesa pubblica dal sociale, agli armamenti. Nei discorsi di questi giorni al consiglio d’Europa si sono usate, per giustificare le richieste di aumento di spesa militare, di fatto le stesse parole usate ad esempio in pandemia, in un’eterna logica emergenziale. Ma se allora la spesa pubblica serviva ad investire su sanità e welfare per tamponare gli effetti sanitari e sociali del covid, oggi viene spostata, appunto sui cannoni. C’è evidentemente un nodo, quello della difesa comune, mai decollato e che ora, in una situazione assai delicata, viene al pettine. Ma, ancora una volta, dimostra che i soldi, quando si vuole, ci sono e si trovano, fosse pure sulla pelle dei giovani e degli ultimi. L’evidente pressione della lobby armiera, documentata dalle associazioni che se ne occupano, che non vede l’ora di incassare questa infornata di denaro pubblico, in un contesto dove la spesa militare mondiale è cresciuta di quasi il 10% lo scorso anno, non basta a spiegare la scelta politica. Iniziata a giugno, con il voto che concedeva di attingere ai fondi del pnrr destinati alle politiche sociali, al lavoro, alla salute, allo studio, alla transizione ecologica che appare ormai un totem vuoto, e dirottare questo denaro all’uso bellico. Coronata nel consiglio europeo odierno dove, a pochi mesi dal voto, i governi riempiono con i richiami alla guerra, il vuoto di proposta politica.
L’Italia, un paese che fa acqua
L’Italia, un paese che fa acqua.
La dispersione idrica nei capoluoghi di provincia è in media al 36,2% e il 42,2% su tutta Italia. È quanto emerge dal XIX Rapporto sul servizio idrico integrato dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua che si celebra oggi. Con significative differenze: in Basilicata va disperso il 62% dell’acqua, tra i capoluoghi i peggiori sono Belluno e Latina, con una dispersione idrica di oltre 70%.
Secondo i dati dell’ultimo Rapporto sullo sviluppo idrico mondiale curato dall’Onu una persona su 4, ossia oltre 2 miliardi di persone in tutto il mondo, non dispone di acqua potabile, mentre quasi la metà della popolazione mondiale, 3,6 miliardi di persone non dispone di servizi igienico-sanitari sicuri. Una mappa, quella dell’acqua, che rispecchia quella delle disuguaglianze.