Kavita Shah ebbe occasione di ascoltare dal vivo Cesaria Evora a vent’anni: si trovava a Salvador de Bahia, e Cesaria si esibì ad un festival locale. Cesaria non faceva niente per guadagnarsi la benevolenza della platea intrattenendo il pubblico o cercando di rendersi amabile: semplicemente cantava le sue canzoni. Kavita Shah rimase folgorata dalla radicalità con cui Cesaria non faceva altro che proporsi per quello che era, e, da donna di colore di fronte ad una donna nera, si identificò profondamente nella cantante capoverdiana.
Due anni prima il padre di Kavita era morto improvvisamente, poi, in rapida sequenza, le erano mancati i quattro nonni: da newyorkese figlia di immigrati dall’India, questi lutti avevano rappresentato per lei anche una gravissima perdita di rapporto con la sua storia familiare, e con la sua provenienza. Anche per questo Kavita aveva sentito così tanto l’immedesimazione nella sodade, quello stato d’animo di malinconia e nostalgia di cui la musica capoverdiana, e in particolare la morna portata alla ribalta internazionale da Cesaria Evora, sono colme. Sodade che nell’universo capoverdiano è diventata un tratto emotivo e psicologico fondante, nutrendosi di un’esperienza collettiva, di massa, di separazioni e lontananze, dai propri cari, dalla propria terra, a causa dell’emigrazione o del lavoro – tanto comune fra i capoverdiani – come marinai: i capoverdiani delle comunità della diaspora in giro per il mondo – da Boston a Rotterdam, da Lisbona a Dakar – sono più di quelli che vivono nel loro arcipelago.
Negli anni successivi, grazie anche a borse di studio e finanziamenti di prestigiose scuole e istituzioni, Kavita Shah ha incrementato il suo bagaglio di frequentazione diretta di musiche tradizionali, in America Latina, Africa, Turchia e India, e ha approfondito la sua preparazione nell’ambito della vocalità jazzistica, ma non ha dimenticato la morna e la coladera, e nel 2016 ha comprato un volo per il Capo Verde, poi ci è tornata due anni dopo. Il suo album Cape Verdean Blues, pubblicato dall’etichetta Folkalist Records, è stato realizzato fra il 2018 e il 2019 fra Mindelo – la città di Cesaria – Lisbona e New York, con Bau, eccellente chitarrista e importante collaboratore di Cesaria Evora, con in diversi brani Miroca Paris alle percussioni e inoltre in un brano la partecipazione della cantante capoverdiana Fantcha.
Kavita Shah, che è in confidenza con parecchie lingue, si destreggia disinvoltamente con il creolo capoverdiano: il repertorio, aperto da Angola, che ricordiamo interpretata da Cesaria, comprende brani di alcuni dei migliori autori capoverdiani – Boy Gê Mendes, Teofilo Chantre, Morgadinho, Vasco Martins – alcuni scritti appositamente per l’album, e naturalmente non può mancare Sodade, portata al successo internazionale da Cesaria.
L’album prende il titolo dal brano degli anni sessanta di uno dei grandi protagonisti del jazz moderno, Horace Silver, omaggio del pianista alle proprie origini capoverdiane per parte di padre (all’anagrafe Silver di cognome faceva Tavares Silva). Ma in questa identificazione con l’identità capoverdiana che sente così vicina a lei, Kavita Shah non dimentica le proprie, di origini, che ricorda con Chaki Ben, una canzone folk nella sua lingua madre, il gujarati, che da bambina cantava con i suoi genitori.