Ambientare un romanzo noir a Barcellona e dipingerlo con luminosi colori pastello, come ha fatto il fumettista Jordi Lafebre con Io sono il loro silenzio, vuol dire catturare la luce e le atmosfere della capitale catalana e dare a una classica storia di omicidio, complotti familiari ed eredità un’atmosfera che ricorda certi polizieschi di Montalbán o di Sciascia. A cui però l’autore, barcellonese di nascita, aggiunge un tono eccentrico, spiazzante e poetico fin dalle prime immagini.
In copertina l’affascinante ed esasperante protagonista, Eva, psichiatra geniale e donna forte e indipendente, ma anche apprendista detective che soffre di allucinazioni (sintomo forse di un disturbo bipolare), appare già sfrontata nel riflesso di uno specchio leggermente distorto, con in bocca una sigaretta, in mano un rossetto rosso acceso e lo sguardo dritto davanti a lei.
La lettura inizia invece con una vignetta a tutta a pagina di uno scorcio della città e del mare visti dall’alto, sotto un cielo terso e infinito. Girando pagina capiamo straniti che siamo sui tetti di Barcellona, ad altezza guglie della Sagrada familia, e che Eva è in piedi, indolente e sorniona, su un cornicione. Mentre lo psichiatra che deve valutare se le va ritirata l’abilitazione per poco non rischia un infarto.
Lafebre gioca con il lettore, spiazzandolo sin dalle prime battute e inquadrature, prima di riprendere il discorso in un modo che sembra più calmo e ordinato qualche vignetta più in là. In realtà, scegliendo tagli dinamici per le vignette e mescolando un disegno semplice e semi-realistico a personaggi dall’espressività esagerata, tipici del suo stile, riesce a creare una sensazione di caos disordinato e irriverente che va a braccetto con una narrazione fatta di flashback, racconti intrecciati e colpi di scena.
Una matassa che si arrotola e dipana a ritmo sfrenato sull’arco di una settimana. E che lega una famiglia di ricchissimi e privi di scrupoli produttori di Cava, il tradizionale spumante spagnolo, un’ispettora che sembra Angela Merkel, uno psichiatra che cerca con poco successo di contenere la nostra esuberante protagonista e una serie di personaggi minori ma non per questo meno interessanti, tra altra borghesia con nostalgie franchiste e bistrot di quartiere. Molti di loro sono donne. Come la giovane Penelope, ex paziente di Eva per depressione e anoressia e fragile ereditiera dei ricchi viticoltori. Ma soprattutto le tre che appaiono e parlano incessantemente alla protagonista: la nonna materna che l’ha cresciuta, la zia che uccise a coltellate il marito, un torero violento e ubriacone, e la nonna militare morta durante la guerra civile. Commentatrici ironiche e coprotagoniste del romanzo, le tre simboleggiano anche un tema che fa da sottotrama a Io sono il loro silenzio e che è particolarmente caro a Lafebre: quello della salute mentale.
Io sono il loro silenzio. Di Jordi Lafebre, traduzione di Francesco Savino. 168 pagine a colori. Bao Publishing, 22 euro.