“Ho protestato contro il razzismo, il tribalismo, ma non è servito a niente. (…) Ho l’impressione di predicare notte e giorno nel deserto”, cantava Tiken Jah Fakoly in Délivrance, un brano compreso in Mangercratie, l’album del 1996 con cui decollò il suo successo. “Ho boicottato, abbiamo marciato, abbiamo denunciato, ma non è servito a niente. (…) Sono stanco, mio Dio. Libera i tuoi figli dalle mani di Babilonia! Sono stanco, sono stanco”.
In realtà il reggaeman ivoriano non si è mai stancato di alzare la sua voce: nel 1999 pubblicò il suo album successivo, dal titolo programmatico, Cours d’histoire, e in effetti tutta la sua discografia successiva è, nel suo insieme, un eccellente corso di storia. In tutta l’Africa il reggae è stato accolto con grande entusiasmo, ma in Costa d’Avorio ha goduto di una particolare popolarità, e la Costa d’Avorio ha espresso la prima star del reggae africano, il carismatico Alpha Blondy. Di quindici anni più giovane di lui, e nel solco della sua lezione di reggae non conformista, impegnato, contestatario, anche Tiken Jah Fakoly è diventato una star, e con una affermazione nel reggae internazionale anche più grande di quella di Blondy.
Nelle violente convulsioni che la Costa d’Avorio ha conosciuto, come Alpha Blondy anche Tiken Jah Fakoly ha preso posizione contro la xenofobia utilizzata strumentalmente e cinicamente a fini di potere politico: minacciato di morte, Tiken Jah nel 2003 ha scelto di ripararsi in Mali, e da allora vive a Bamako. Nella sua vocazione a offrire motivi di riflessione e a creare consapevolezza, Tiken Jah Fakoly è certo e giustamente convinto, come i latini, che repetita iuvant: intitolato semplicemente Acoustic, pubblicato da Wagram Music, il suo sedicesimo album ripropone in versione acustica tredici suoi cavalli di battaglia pescati nella sua discografia, fra gli album Mangercratie del ‘96 e Braquage de pouvoir del 2022.
“Hanno dimenticato che hanno torturato, che hanno assassinato, che hanno umiliato”, canta in Les martyrs – e tra i martiri che nomina c’è Thomas Sankara – “noi perdoneremo ma non dimenticheremo mai”. In Plus rien ne m’etonne parla di chi si è spartito l’Africa e si spartisce il mondo, in Tonton d’America, interpretata con ospite Bernard Lavilliers, dello zio d’oltre Atlantico che approfitta delle miserie dell’Africa, e in Ça va faire mal propugna l’unità africana contro la prepotenza dei paesi sviluppati; in Africain à Paris – versione di Englishman in New York di Sting – cantata con Horace Andy e con Chico Cesar, descrive la realtà dell’immigrazione mettendosi nei panni di un figlio che scrive alla madre, e in Ouvrez les frontières esclama: “Voi venite ogni anno, estate e inverno (…) e vi riceviamo sempre a braccia aperte (…) ma noi non vi abbiamo rifiutato il visto (…) aprite le frontiere, lasciateci passare”. Musicalmente più asciutte, le nuove riletture non fanno che rendere ancora più icastici i testi.
In Délivrance, citata all’inizio, Tiken Jah diceva anche: “Eravamo ottimisti, abbiamo sognato, abbiamo sperato, però non è cambiato niente”: ma quasi trent’anni dopo, qui, in un quattordicesimo brano, l’unico inedito, Arriver à rêver, Tiken Jah nonostante tutto non ha ancora rinunciato: “Bisognerà riuscire, riuscire a sognare, riuscire, sì riuscire, alla fine, a cambiare davvero il mondo”.