Per avere la misura della qualità di una persona, di quanto ha seminato, nei rapporti personali ancora prima che nella sfera professionale, si possono (anche) passare in rassegna i ricordi e gli attestati che affiorano sui social, la versione moderna di quelli che erano i necrologi sui grandi quotidiani, o l’esercizio letterario degli “obituary”, elzeviri che compaiono su alcune riviste internazionali. Dopo la scomparsa di Dario, pochi si sono esentati dal pubblicare un messaggio.
Non che ne avessimo bisogno, ma il tono, la delicatezza, l’intensità e l’affetto che hanno alimentato le parole spese nei giorni scorsi per accompagnare l’ultimo passo di Dario Zigiotto, sono la conferma più naturale e diretta di una vita spesa con intelligenza, arguzia, passione, nella conoscenza profonda della materia a cui si era dedicato: la musica e le manifestazioni da promuovere, i musicisti e i colleghi, i giornalisti da frequentare, sempre con il sorriso sornione che tutti hanno ben conosciuto.In tanti anni di carriera – un brutto termine, ma Dario Zigiotto la intendeva con la dedizione che si riserva alle cose belle, che richiedono sentimento – si sono susseguiti a lui vicino diversi giganti che non ci sono più, da Fabrizio De Andrè a Enzo Jannacci, con cui condividere pezzi di vita, su e giù dl palco, davanti a un microfono, o meno. Per tutti c’era uno sguardo complice, la ricerca di affinità elettive, il riserbo di chi sa custodire segreti e confidenze.Per una larga parte della sua missione nel campo della musica come mestiere ha operato insieme a un’altra amica cara, Monica Passoni: è lei che nella notte ha avvertito me, e altri. Una di quelle notizie a cui non si imparerà mai a ricevere e a gestire: la lunga malattia, accompagnata con dignità, respingendo le insidie fino all’ultimo. Portava sempre in tasca un nasino rosso da clown, su cui appoggiare un riso ora ironico, ora amaro, sempre sincero. Difficile pensare non rivederti più.
Enzo Gentile