Il fronte è quello della maternità ed è sempre aperto. Il fronte? direte… Non saprei come altro chiamarlo in un paese che si straccia le vesti per una demografia implacabile che ci fa con il Giappone i più vecchi del mondo e, con l’altra mano, conduce una sotterranea ma minuziosa e capillare lotta a chi, le donne, quei figli li fa e intende crescerli senza rinunciare al lavoro, alle proprie aspirazioni, alle proprie competenze. Ed ecco due ‘piccole’ storie a loro modo esemplari e con opposti esiti. La prima è quella di Francesca Dell’Aquila, consigliera comunale – anzi dobbiamo dire ex e suo malgrado – che ha lasciato la politica (nel Pd) perché – mentre tutto il mondo lavora da remoto – a Monza non è stato possibile garantirle di seguire da casa i lavori consiliari. Sapete com’è? I tempi lunghi, le modifiche necessarie, lo statuto, i regolamenti: le giustificazioni per non rimuovere gli ostacoli che si pongono ad una neomamma per continuare la propria vita e nel contempo allevare la propria figlioletta formano una montagna di cui, alla fine, nessuno porta responsabilità. E Francesca oggi è una di meno: una più delusa – “Da una forza politica che ha una segreteria donna mi sarei aspettata una sensibilità diversa”, ha detto – una che, lasciando, abbassa ancor di più il tasso di partecipazione politica delle donne in Italia che già non brilla. Una che chissà come riuscirà a spiegare alla propria bimba che, nel 2024 in un ricco comune dell’Italia del nord, non si è riusciti a mettere in piedi una connessione da remoto per far sì che lei esercitasse il proprio diritto di eletta e il proprio ruolo di rappresentante della comunità. Non è successo niente a Monza: qualche articolo qua e là e ciao Francesca…
È andata meglio a Lara Ricci: demansionata dal Sole24ore al ritorno dalla maternità a maggio del 2021 – vicecaposervizio al supplemento culturale, prima gestiva decine di collaboratori e teneva una rubrica, poi si era ritrovata, secondo le sue stesse parole, ad avere meno responsabilità di quando era stagista – la giornalista, dopo mille e inutili sollecitazioni interne e sostenuta dal suo comitato di redazione, si è rivolta alla magistratura e ha vinto i due gradi di giudizio. A luglio 2023 la prima pronuncia, non certo lusinghiera per quel Sole 24 ore che ha ottenuto, primo gruppo editoriale italiano, la certificazione sulla parità di genere e che ora si è visto rigettare anche il proprio ricorso contro la prima sentenza: le motivazioni della giudice milanese Maria Beatrice Gigli si leggeranno tra un mese e il giornale dovrà pubblicarle, il succo però è chiaro. La discriminazione c’è stata, Lara Ricci ne è stata vittima: in nome di una ‘nuova organizzazione del lavoro’ che, guarda caso, ha tirato una riga solo sul suo di lavoro, relegandola a ben più anguste mansioni. Lara ha vinto, ma ci sono voluti anni, molta costanza e un prezzo intuibile da pagare.
Italia 2024 e sembra che nulla sia cambiato da quando – colloquio di assunzione in una grande casa editrice, correva l’anno 1987 – il capo delle risorse umane chiedeva senza vergogna alle giovani giornaliste se avevano intenzione di fare figli, modo neanche troppo velato per significare che era meglio accantonare l’idea. E non sembra soltanto: poco è cambiato, i numeri di quelle che mollano perché non riescono a tenere insieme tutto, perché economicamente non conviene, perché il nido non c’è e quello privato costa troppo, perché si è troppo sole, perché al lavoro non te ne fanno passare mezza, rappresentano un esercito in ritirata. Di questa ritirata (una su 5, avuto il primo figlio, non lavora più) prima ancora che della natalità bisognerebbe occuparsi: garantire alle donne il loro lavoro, un lavoro, una carriera è il primo tassello di una società equa che non spreca competenze ed energie e che consente di coltivare un progetto di maternità a chi lo desidera.
Siamo lontane e lontani da tutto ciò. Pensate: in Italia, ci dice Openpolis, siamo al 28% di copertura per gli asili nido su un obiettivo fissato al 33 prima e ora, a livello comunitario, addirittura al 45%. Peccato che ciò avvenga non perché aprono nuove strutture ma perché nascono meno bambini, peccato che in quel Sud in cui il tasso delle donne al lavoro non tocca neanche il 30% i nidi siano pochissimi: 14,6% in Calabria, 13 in Sicilia, 11,7 in Campania… Tutto si tiene e si tiene male.