Il governo festeggia il record di “occupati” e il lavoro sembra tornato indietro di decenni. È vero? Lo abbiamo chiesto a quattro funzionari della Fiom di Bergamo che quotidianamente si occupano di tutto ciò: Fabio Mangiafico, Paolo Biava, Luca Vitali e Andrea Agazzi.
Il lavoro povero per milioni, i salari fermi da 30 anni rispetto al resto d’Europa, le tante forme del lavoro a tempo ritornate negli stessi trent’anni… se c’è un mondo che paga più di tutti la vittoria del liberismo o della finanziarizzazione dell’economia, come si chiamava agli albori del nuovo secolo, è quello del lavoro. In questi anni di più con la comparsa (o meglio il ritorno) dei contratti pirata che abbassano i livelli e le garanzie, l’esplosione del lavoro povero, a cui si aggiunge il peso delle crisi scaricato direttamente sulle famiglie con l’inflazione a fronte di extraprofitti – curioso neologismo – per banche e società energetiche ad esempio.
La fotografia dei risultati di quest’anno è esemplare: ricavi record vengono annunciati nel lusso, nella logistica, in tanta parte della componentistica e addirittura nel mercato dell’auto. Il sistema imprese, nonostante i costi siano aumentati anche per loro, festeggia un anno di vacche grasse. Solo il lavoro è al palo, con un misero 3% di aumento medio nei rinnovi. Il governo non se ne occupa ma festeggia il record di contrattualizzati, perché non importa quanto guadagni e come, l’importante è avere un lavoro, anche per un mese anche a 5 euro l’ora.
Cominciamo dalle difficoltà
Che il lavoro ci sia, che le imprese in una geografia ormai molto variegata stiano bene è una realtà e allora siamo andati a chiedere ai sindacalisti dell’ultima classe operaia, la Fiom, quale sia la condizione operaia e del lavoro dal loro osservatorio, più precisamente da una provincia lombarda di destra, Bergamo, dove il mito del piccolo, del fai da te e del padrone sono sempre sulla cresta dell’onda. Loro si chiamano Fabio Mangiafico, Paolo Biava, Luca Vitali e Andrea Agazzi (che è il segretario generale) e questa intervista è stata realizzata poco prima di Natale alla camera del lavoro di Dalmine.
Salari e conflitto, esiste ancora un collegamento
La provincia bergamasca non è mai stata una roccaforte della sinistra sindacale, anzi, qui la Cisl è sempre stata maggioranza, anche quando batteva forte il leghismo. Alle ultime elezioni politiche Fratelli d’Italia ha fatto il botto col 31% delle preferenze, la Lega al 17% e anche tra le opposizioni brilla un Calenda con il 10%. Il mito del piccolo imprenditore, dell’impresa artigiana per esempio, che sia edile o col capannone, qui è di casa sua da sempre insomma. E non accenna a declinare. Ed è quello che rende interessante la chiacchiera con questo pezzo di sindacato che prova a sollecitare l’altra parte della questione, quella del lavoro o del “collettivo” che addirittura il segretario generale Agazzi chiama “il nostro core business”; insomma il contrappasso del guadagno e dell’impresa individuale.
Ma piccole imprese a basso valore aggiunto come possono pagare meglio i lavoratori?
Nelle fabbriche della bergamasca c’è un turnover per i picchi di produzione, anche stagionali, che travalica i confini geografici e coinvolge il bresciano e il cremonese: lavoratori a tempo determinato e interinali vanno in cerca di migliori condizioni dal chimico al meccanico. Da tempi in una fabbrica convivono figure e contratti molto diversi stabili, determinati, somministrati; qualche volta con contratti nazionali diversi. Se aggiungiamo che siamo diventati i terzisti della Germania e che abbiamo poche fabbriche ad alto valore aggiunto è evidente che il grosso del profitto l’impresa in questi settori lo fanno sul lavoro.
A cosa serve il sindacato
E’ il vecchio capitalismo e infatti dove riescono a unirsi e essere anche conflittuali conflitto anche i lavoratori portano a casa un po’ del surplus che producono. Il sindacato è lì per quello in teoria, migliorare le condizioni, dai tempi, ai modi, al rispetto delle regole, alla redistribuzione. Sono molti i casi che abbiamo seguito in questi mesi, non solo nella bergamasca, di proteste e scioperi perché le aziende si rimangiano i premi di produzione promessi o non redistribuiscono dopo anni record del post Covid. Questo è sindacato. Non se ne vede tanto a dire la verità. Ma siccome lo stipendio il sindacalista non lo prende né dal padrone, né dallo stato, ma dai suoi iscritti, a loro devono portare dei vantaggi. Difficile in questo clima di sconfitta per il lavoro anche per la Fiom.
Andrea Agazzi completa la frase così: “.. che il salario piove dal cielo” e lo fa talmente piano che nella registrazione non si sente. Perché questa cosa fa arrabbiare il sindacalista. Il salario non piove dal cielo, non te lo dà nemmeno il padrone o meglio te lo dà perché te lo sudi e te lo guadagni, e non da solo. E qui sta il punto più politico e più dimenticato della questione (anche di quella sul salario minimo combattuto con grande forza dalla destra) che in fondo è semplice: il salario non deve essere più vissuto come un diritto ma come una elargizione, siamo tornati lì. Alla gerarchia sociale con diritti differenziati.
D’altronde se il lavoro non è un contratto tra due parti ma un giudizio sul tuo merito, se il contratto non è collettivo e fissato uguale per tutti e tutte, ma è concesso individualmente, alla fine siamo tornati che il salario te lo dà davvero il padrone.
Cambiare orizzonte
Vent’anni fa l’allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, in un comizio a Verona che sanciva il tentativo (che pagherà caro) di tracciare la propria leadership rispetto a Silvio Berlusconi, cavalcava la voglia di ogni lavoratore di diventare imprenditore di se stesso, ergendo a valore un concetto di libertà individuale e identificando un popolo quello dei piccoli imprenditori, degli artigiani, delle partita Iva da contrapporre alla massa e alla classe perché il desiderio individuale di emergere era più forte. Ovviamente era un discorso e un programma politico di destra. A cui si sono accodati purtroppo in tanti anche nel mondo sindacale.
Lo svuotamento della forza della classe, dell’organizzazione ma potremmo dire della sua stessa esistenza (senza arrivare alla coscienza), è stata smontata nella narrazione e nei fatti con la precarizzazione e una legislazione tutta a favore dell’impresa, con i contratti pirata e (spiace dirlo) trent’anni di politica dei redditi che non sono riusciti a rinnovare in tempo e bene i contratti nazionali e hanno portato almeno l’annichilimento del lavoro. E all’orizzonte non si vede nulla di nuovo.
Foto dal sito della Fiom-Cgil Bergamo