Il racconto della giornata di venerdì 22 dicembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30.Poco più di un’ora fa il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione che chiede più aiuti a Gaza. Dopo giorni di discussioni e rinvii, i Paesi membri sono riusciti a trovare un accordo e la risoluzione è passata con 13 voti favorevoli, nessuno contrario e due astenuti, la Russia e gli Stati Uniti. Bruxelles non si aspettavano che la destra italiana andasse fino in fondo.
Che cosa c’è nella nuova risoluzione dell’Onu
Poco più di un’ora fa il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione che chiede più aiuti a Gaza. Dopo giorni di discussioni e rinvii, i Paesi membri sono riusciti a trovare un accordo e la risoluzione è passata con 13 voti favorevoli, nessuno contrario e due astenuti, la Russia e gli Stati Uniti. Il testo passato è molto ridimensionato rispetto alle richieste iniziali, ed è questo il motivo per cui è riuscito a passare senza veti. Gli Stati Uniti hanno ribadito la loro contrarietà al fatto che nel testo non si condannasse apertamente l’attacco di Hamas, ma si sono astenuti per permettere alla risoluzione di passare. La Russia, si è astenuta perché – ha detto l’ambasciatore – il testo era troppo debole e snaturato dalle richieste statunitensi. Il segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, dopo il voto ha ribadito l’importanza di un cessate il fuoco.
Come dicevamo il testo ha subito diverse modifiche per scongiurare il veto statunitense e il risultato è che il significato del voto è molto depotenziato.
Quali cambiamenti sono stati fatti in questi giorni?
(di Martina Stefanoni)
La prima versione della risoluzione era quella del 15 dicembre, presentata dagli Emirati Arabi Uniti. Chiedeva la cessazione delle ostilità e un flusso senza restrizioni degli aiuti nella Striscia di Gaza, oltre all’immediato e incondizionato rilascio di tutti gli ostaggi. La discussione si è concentrata inizialmente sulla parola “cessazione”. Per gli Stati Uniti era troppo forte, ed è quindi stata sostituita con “sospensione delle ostilità”. A questo punto la questione si è spostata sul sistema di monitoraggio degli aiuti in ingresso. Secondo la risoluzione, questo sarebbe dovuto essere affidato alle Nazioni Unite, invece che ad Israele, come è stato fino ad ora. Secondo quanto si apprende, su questo punto sarebbe stata Tel Aviv a fare pressioni agli Stati Uniti perché non lo accettassero. A questo punto siamo a giovedì sera, quando il voto è stato rimandato ancora ad oggi. Nel testo votato oggi, la richiesta della cessazione delle ostilità è diventata “la creazione delle le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità e di “passi urgenti” per consentire immediatamente un accesso umanitario sicuro e senza ostacoli”. Una modifica che ha annacquato fortemente la portata della risoluzione che di fatto lascia libera Israele di continuare a bombardare indisturbata come ha fatto fino ad ora. Dalla risoluzione sono spariti poi anche i riferimenti al sistema di monitoraggio dell’Onu dell’ingresso degli aiuti. La risoluzione iniziale chiedeva che Israele e Hamas consentissero e facilitassero “l’uso di tutte le rotte terrestri, marittime e aeree verso e attraverso l’intera Gaza” per la consegna degli aiuti. Il termine è stato cambiato in “tutte le rotte disponibili”, che significa che di fatto anche su questo Israele continua a mantenere il controllo.
Il voto dell’Onu arriva mentre la situazione umanitaria a Gaza è sempre più drammatica, con circa il 90% della popolazione che soffre la fame secondo l’Oms. Il governo israeliano anche oggi ha ribadito chiaramente di non avere alcuna intenzione di limitare bombardamenti e operazioni di terra, ma – anzi – ha oggi ribadito che l’offensiva si allargherà nei prossimi giorni anche alla zona centrale della Striscia. Il voto dell’Onu di oggi, quindi, per Israele ha ben poca importanza. Sentiamo Ugo Tramballi, editorialista del Sole 24ore
A Bruxelles il No dell’Italia al Mes è incomprensibile
(di Alessandro Principe)
Bruxelles non si aspettavano che la destra italiana andasse fino in fondo. A Berlino, Parigi, Madrid nemmeno. Sono 26 i Paesi europei che hanno approvato il Mes. Sono governati da partiti di ogni colore, destre sovraniste comprese. Il No dell’Italia risulta incomprensibile. Il nuovo Mes può essere utile in caso di dissesti del sistema bancario. Ma non è vincolante: ogni paese può decidere se usarlo oppure no. Il rifiuto italiano invece lo rende inutilizzabile per tutti. Adesso il governo dovrà affrontare il ruolo che si è scelto: quello di essere isolato. Il nuovo patto di stabilità è ad alto rischio per l’Italia. La riforma approvata da Parigi e Berlino penalizza i paesi più fragili, quelli ad alto debito. L’austerità torna a prevalere e la flessibilità è temporanea. Come sempre i rapporti politici – anche se ci sono le regole – comanderanno quando andremo a trattare procedure di infrazione, margini di elasticità, rispetto di impegni. Poi c’è il Pnrr. Un percorso costellato di ritardi, tagli, rinvii. Entro fine anno chiederemo la quinta rata. Sono 10 miliardi e mezzo. Dobbiamo ogni volta convincere Bruxelles che i progetti marciano, che i soldi vengono impiegati come concordato. La fiducia e l’affidabilità anche qui sono cruciali. E ci sono i mercati: anche lì l’affidabilità di un Paese incide sulla sua stabilità. Più è considerato a rischio, più deve spendere per finanziarsi. I tassi dei Btp salgono e così lo spread. Tutto questo in un anno, il 2024 di elezioni europee. La campagna di Salvini è tutta anti-europa. Meloni è più prudente ma con il no al Mes si è messa sullo stesso asse sovranista. E’ una scelta. Ma rischiosa: la sconfitta sul Patto è stata evidente: mentre Parigi e Berlino trattavano noi tentavamo il ricatto del Mes. Poi, non ci è rimasto che il dispetto della mancata ratifica.
Così il ministro Giorgetti confessa il suo fallimento sul Mes
(di Anna Bredice)
“Ci aspetta un anno ancora più difficile”, così ha detto Giorgia Meloni questa mattina augurando il buon Natale ai dipendenti di Palazzo Chigi e che possa essere un anno difficile probabilmente è vero visto che questo si sta concludendo con un problema molto serio all’interno del governo, quasi al limite di una crisi. Il ministro dell’Economia Giorgetti ha ribadito che lui il Mes l’avrebbe approvato, ma che “ora non c’era aria, e non solo per motivi economici”, aggiunge riferendosi alla questione del gran Giurì, lo scontro in aula tra Meloni e Conte, un punto dal quale quindi non era possibile tornare indietro. Giorgetti in questo modo confessa il suo fallimento, perché rende evidente che tutto gli è passato sulla sua testa e del resto che fosse a favore del Mes lo dicono gli atti, a giugno il parere di Giorgetti era scritto nero su bianco: “il Fondo salva stati non danneggia i conti pubblici, sarebbe un aiuto per i paesi ad alto debito”. A chi questa mattina dopo il voto sulla manovra economica gli chiedeva delle dimissioni, ha risposto “i consigli dell’opposizione sono sempre utili però decido io”. Un ministro in bilico, esponente della Lega e nella stessa Lega c’è chi lo contesta, Giulia Bongiorno dice che a decidere è il Parlamento, non il governo. Un altro schiaffo al ministro che è sempre più lontano dal sovranismo leghista. Ma ad aver scelto una strada precisa a sei mesi dalle elezioni europee è soprattutto Giorgia Meloni, che ha deciso di seguire la scia antieuropea di Salvini, interrompendo un dialogo che a fatica in questi mesi stava costruendo con le istituzioni europee. Ha scelto la campagna elettorale, lasciando il cerino in mano a Forza Italia, in grande difficoltà perché anche loro hanno tradito il sì al Mes e ora sono costretti a dire senza forse neanche crederlo, che dopo le europee la partita del Fondo Salva Stati si può riaprire.