Mentre fa ancora eco il SORELLA NON SEI SOLA delle donne scese in piazza lo scorso 25 novembre a Roma, nelle stesse ore, Ilary Blasi ricorda al mondo il suo individualissimo essere UNICA. Il racconto in docufilm de la sua verità, pubblicato ex post la separazione che ha sconvolto gli animi dentro e fuori il Raccordo. Da romana, impossibile non vederlo. Altrettanto da donna e femminista, incuriosita soprattutto da quel lancio previsto un giorno prima della giornata internazionale contro la violenza sulle donne e di genere. Ammetto di aver premuto play carica di fiducia, in assetto da tifosa, sicura che là dentro avrei trovato la storia di una crescita, il racconto di un’evoluzione personale, giunta alla fine di una storia dolorosa il cui risultato è però una donna nuova, consapevole di se stessa, dei meccanismi che l’hanno resa vittima e che adesso vaffatutti, dopo un anno parlo io e, tra un caffè e un’asana yoga, demolisco il patriarcato. Okay. Forse avevo delle aspettative altissime ma è pur vero che in 20 anni di pane e Tottigò, per la me adulta che di Roma ha via via abbandonato non solo i quartieri ma anche i modelli che la caratterizzano, vedere finalmente la Regina consorte dell’ottavo Re, strapparsi le vesti della perfetta moglie e madre, era davvero una figata.
Invece no. Mi sono ritrovata a girare gli occhi annoiata e delusa che anche stavolta, abbiamo perso un’occasione. Partiamo dal fatto che nella storia ci sono gesti e azioni raccontate come normali e che trovano risalto solo quando si entra in clima tradimento. Totti che controlla il cellulare, chiama a rapporto Blasi e l’amica, mette il muso, il ricatto del senso di colpa e tanti altri. Avrei apprezzato, ogni volta, un pop up lampeggiante con la scritta “HEY! QUESTO È PATRIARCATO” o un “È SBAGLIATO ANCHE SENZA CORNA”. Mentre guardavo mi chiedevo come è possibile non dar di matto se anche il taxista conosceva i fatti tuoi prima ancor di te, che tutta Roma sapeva e che in entrambi i casi, non c’era dubbio fosse colpa tua (tralasciamo poi l’analisi sociologica culturale per cui dovremmo aprire il capitolo dei mores tipici di Roma, Urbe de chi se fa i c***i sua campa cent’anni). Insomma, mi sarei messa a urlare.
Ma la verità è che mi sarebbe piaciuta una riflessione che andasse oltre la risposta al gossip, alle chiacchiere da bar (o da taxi, appunto). Blasi invece è comprensiva, capisce la logica per cui i panni sporchi si lavano in casa, anche se l’impestano del tanfo. Solo che proprio non poteva crederci che della puzza ne fosse piena la sua Villa. E infatti piange. Aveva giurato! dice. Davanti a me e ai figli – mancava a Dio – e poi giù, ancora pianti.
Lì sale l’audience e a me scendono alle ginocchia.
Ma tutto questo pianto, dove va? Per citare un ragionamento dell’autrice e scrittrice Chiara Sfregola, che sposo in pieno e qui riformulo, è necessario trasformare il dolore da fine a mezzo, perché è arrivato il tempo di iniziare a liberarci della retorica per cui soffriamo per aver sbagliato, non per raggiungere un risultato difficile e uscire da una storia lo è sempre.
Solo che se sei bella, straricca e famosa è un po’ meno complicata o diciamolo, magari le persone comuni, le donne che vivono situazioni non dignitose, difficili o abusanti, non penso si preoccupino della collezione di scarpe e borse griffate. Insomma, è proprio perché 6 UNICA ma fino a un certo punto, che era per me necessario, non dico farsi carico della portata politica delle vicende personali ma almeno essere responsabile dei messaggi diffusi, senza ignorare completamente chi non gode dei tuoi stessi privilegi. Questo sì avrebbe reso il docufilm non solo uno gancio mediatico ben assestato, ma anche un gesto dal sapore vagamente femminista. (Di questi tempi, ce n’è sempre bisogno!)
Per fortuna, più che Unica non sono sola
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Autore articolo
Giulia Strippoli