È il 23 novembre 2016 quando all’Arena Condà di Chapecò, città di 200 mila abitanti nel Brasile meridionale, la squadra di casa, la Chapecoense, affronta nella semifinale di ritorno della Copa Sudamericana gli argentini del San Lorenzo di Almagro. Il San Lorenzo è una delle cinque grandi squadre di Argentina, solo due anni prima ha vinto la Coppa Libertadores, l’equivalente della Champions League in Sud America. La Chapecoense invece è alla sua prima esperienza in un torneo internazionale. Arrivare fin lì è già stata un’impresa, nella partita d’andata ha strappato un pareggio per 1-1. Quel gol in trasferta dà ai brasiliani il piccolo vantaggio di avere come risultato buono, al ritorno, anche uno 0-0. Al minuto 94 il punteggio non si è ancora sbloccato, il San Lorenzo ha un calcio di punizione dalla fascia destra del campo, un’ultima opportunità per segnare il gol della qualificazione.
Il telecronista brasiliano continua a ripetere due parole: “lo spirito del Condà”, lo stadio dove la Chapecoense non aveva mai perso in quella competizione, e il nome del portiere della squadra di casa, Danilo. Sugli sviluppi di quell’ultimo calcio di punizione per il San Lorenzo, Danilo respinge con il piede proprio sulla linea di porta un tiro a colpo sicuro, da cinque metri di distanza, del terzino avversario Angeleri. Una parata che salva il risultato all’ultimo istante e regala alla Chapecoense e ai suoi tifosi la gioia di una storica qualificazione alla finale.
Solo pochi giorni dopo, per molti è venuto spontaneo pensare che quella parata incredibile sarebbe stato meglio se non ci fosse mai stata. Il 28 novembre di sette anni fa, mentre volava da La Paz verso Medellin, in Colombia, per disputare quella storica finale della Copa Sudamericana, la squadra della Chapecoense venne distrutta. Un incidente aereo. Un guasto elettronico costrinse il pilota a tentare un atterraggio di emergenza sulle colline, a poche miglia dall’arrivo. Si salvarono in sei, tre erano calciatori della Chapecoense, tutte le altre 71 persone a bordo morirono, compreso il portiere eroe della semifinale, Danilo. Aveva 31 anni.
Un dramma che sconvolse il Brasile e il calcio in tutto il mondo. Gli avversari i colombiani dell’Atletico Nacional chiesero e ottennero dalla Federazione sudamericana che la coppa fosse assegnata ad honorem alla Chapecoense. Una società che fino a pochi anni prima non era mai emersa dalle categorie inferiori, dalla quarta serie brasiliana. Aveva cominciato ad affacciarsi al grande calcio grazie a un percorso costruito con programmazione, lavoro e ambizione. Da quella tragedia è dovuta in sostanza ripartire da zero. Sette anni dopo, la Chapecoense gioca nella Serie B brasiliana e sogna di arrivare di nuovo a giocarsi sul campo una coppa sudamericana.