Aveva 21 anni, in carcere ci è entrato lo scorso 7 luglio per scontare una serie di reati, tra cui un vecchio tentativo di furto nel centro commerciale di Orio al Serio. Oumar Dia è entrato nella casa circondariale di Bergamo sano, senza alcun problema di salute, dice chi lo conosceva. Il 26 ottobre è morto all’ospedale Humanitas di Rozzano. Era stato ricoverato d’urgenza dal carcere di Opera, dov’era stato trasferito poche settimane prima. È morto dopo una settimana di coma, attaccato a macchinari che lo tenevano in vita: com’è potuto accadere? I genitori, gli amici se lo sono chiesto fin dal primo momento, senza avere risposte.
Oumar Dia era sotto la custodia dello Stato, in poco tempo avrebbe dovuto scontare la pena ai domiciliari. Perché è morto? Perché le richieste di informazioni dei familiari sul trasferimento a Opera, sul motivo del ricovero in ospedale sono cadute nel vuoto? Da questi silenzi è nata una mobilitazione sui social: gli amici più stretti hanno aperto la pagina giustizia_peroumar su Instagram. Una mobilitazione che dalle piazze digitali si è spostata in quelle all’aperto. La prima è stata il 1° novembre in piazzale Cadorna, a Milano.
Il racconto di Roberto Maggioni:
La procura di Milano ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio. I primi risultati dell’autopsia hanno parlato di “danno cerebrale da ipossia”, da soffocamento. Risultati ancora da consolidare con esami più approfonditi, voci e informazioni ancora frammentarie. Gli amici di Oumar decidono di fare un secondo presidio, questa volta sulla piazza davanti al Comune di Bergamo, a pochi chilometri da Fiorano al Serio, dove abitava e dov’era cresciuto. Qui incontriamo Noha, una delle giovani organizzatrici, che ci spiega com’è partita la mobilitazione dopo la morte di Oumar.
Alla manifestazione ci sono due grandi striscioni. Mostrano una foto con il volto sorridente di Oumar Dia e una scritta: “Vogliamo sapere la verità”. Per ore, durante il presidio, si alternano gli interventi al microfono di giovani della zona, all’incirca ventenni, figli di genitori arrivati in Italia da lontano. Genitori come quelli di Oumar, partiti dal Senegal 30 anni fa. In molti dicono che aveva commesso degli errori, ma che negli ultimi tempi aveva messo “la testa a posto”, aveva iniziato a lavorare. Lo conferma Gino Gelmi dell’associazione Carcere e Territorio, che dal 1983 lavora con i detenuti della casa circondariale di Bergamo.
Del caso di Oumar s’interessano anche due deputati di Alleanza Verdi Sinistra, Aboubakar Soumahoro e Devis Dori, che annuncia un’interrogazione parlamentare.
Le prime risposte arrivano dopo pochi giorni, ma restano ancora molte, troppe domande. Oumar Dia lo hanno trovato “appeso con una corda rudimentale alle sbarre della finestra della cella”. Il sottosegretario Andrea Delmastro ha risposto in commissione giustizia all’interrogazione del deputato Devis Dori. Un’interrogazione per dare risposte alla famiglia del 21enne, su cosa sia successo nelle carceri di Bergamo e di Opera prima della sua morte.
Soccorso dal 118 nella sua cella, Oumar Dia veniva ricoverato in prognosi riservata all’ospedale Humanitas di Rozzano. “I familiari venivano naturalmente e doverosamente informati del ricovero” dice il ministero. Perché allora la famiglia sostiene di non aver saputo in quali condizioni è stato ritrovato loro figlio? Perché per settimane tanto mistero? È solo la prima delle domande che restano dopo le parole del sottosegretario alla giustizia. Una risposta all’apparenza dettagliata, la sua: a Opera, Oumar Dia era stato trasferito lo scorso 2 ottobre dal carcere di Bergamo per aver colpito con un pugno al volto un agente.
Mandato all’ospedale Papa Giovanni XXIII per una visita psichiatrica, era in stato di forte agitazione, veniva immobilizzato, gli venivano prescritti degli psicofarmaci. Prima di allora, dice chi lo conosceva, non aveva mai dato segni di fragilità mentale. A Bergamo era stato messo in una sezione per cautele particolari. A Opera, sotto sorveglianza stretta, ha potuto invece procurarsi una specie di corda? All’Humanitas, Oumar Dia ci è rimasto una settimana, in coma irreversibile.
Tre giorni prima della morte, il magistrato di sorveglianza di Milano convertiva la pena in detenzione domiciliare all’ospedale Humanitas: un passaggio quanto meno inusuale, poco chiaro per come l’ha detto il sottosegretario. Nella risposta del ministero, si legge anche che dopo la morte di Oumar Dia, “la direzione del carcere di Opera acquisiva copia della sua cartella clinica e la metteva a disposizione del pubblico ministero titolare dell’indagine”. Come mai questo ritorno della cartella in carcere, invece di andare direttamente in procura? Una domanda a cui il ministero per ora non dà risposta.