Non voglio parlare di quello che sta succedendo tra Israele e Palestina. Quando muoiono i civili, tra i quali donne e bambini, la guerra mostra la sua vera natura, che è incommentabile.
Inoltre non avrei qualcosa di particolarmente interessante da dire, tranne trasmettervi un profondo sgomento, simile a quello di tutti quanti.
L’attacco di Hamas è stato indegno. La risposta israeliana, con bombardamenti su una striscia di terra in cui vivono ammassati milioni di persone già piegate dalla povertà, una risposta completamente folle e di una cattiveria inaudita.
Nel mezzo il resto del mondo, con i suoi media servili, sempre al guinzaglio dei potenti e del potere. Quando sento dire: “O si sta con Israele oppure con Hamas” mi sale un profondo disgusto. Le persone non funzionano solo e unicamente col sistema binario. Personalmente non sto – che brutto termine, tra l’altro, nemmeno fossero squadre di calcio – con Israele, esattamente come non sto con Hamas. Gli unici per cui parteggiò sempre e comunque sono gli ultimi, i senza voce, quelli che non hanno nulla. La povera gente in difficoltà.
Dopo la pandemia la coscienza collettiva, per quasi tre anni sotto stress, è andata completamente in black out. Prima l’Ucraina, adesso questo.
Era prevedibile? Forse sì.
Si è fatto qualcosa? Certamente no.
Ma come ho detto in apertura, non voglio parlare di questa assurdità. Voglio invece raccontare la storia di un ragazzo italiano che ben conosceva la situazione ebreo-palestinese, uno scrittore e attivista di raro coraggio che abbandonò una vita agiata per vivere nel cuore della Palestina e aiutare quella gente, documentando tutta la follia che non documentava mai nessuno.
Si chiamava Vittorio Arrigoni e concludeva ogni suo articolo con due parole, due semplici parole ma di una forza inaudita: “stay human”, restiamo umani!
Don Gallo, lo citava spesso durante gli incontri pubblici e quel “restiamo umani” di Vittorio lo aveva fatto suo. Gliel’ho sentito ripetere tantissime volte.
Arrigoni era un bel ragazzo originario di Besana Brianza, dove era nato nel 1975. Figlio di una coppia di imprenditori, era cresciuto in una famiglia impegnata, fieramente antifascista.
I nonni erano stati partigiani, la madre Egidia aveva fatto per dieci anni il Sindaco del comune di Bulciago e la sorella maggiore Alessandra era diventata assistente sociale. Una famiglia, quella di Vittorio, votata alla solidarietà e all’aiuto. Tutte caratteristiche che Vik, come lo chiamavano gli amici, aveva prima fatto sue e poi era andato oltre, facendo del tendere la mano e del combattere contro le ingiustizie una ragione di vita.
Aveva iniziato a viaggiare e scoprire il mondo a vent’anni, e i suoi erano stati viaggi consapevoli, pregni di significato, finalizzati a conoscere certe situazioni e ad aiutare quelle persone le cui sorti troppo spesso finiscono nascoste sotto il tappeto.
Vittorio collaborava con diverse ong, che operavano nella ristrutturazione di sanatori, nella manutenzione di alloggi per disabili o senzatetto, nell’edificazione di nuove abitazioni per profughi di guerra e in tante altre attività solidali.
Dopo un periodo ad operare nell’Europa dell’est, Vik si era spostato prima in Perù e poi in Africa. Era stato prima in Togo e poi in Tanzania.
Ma non pensate a lui come a un integralista votato solo alla causa umanitaria. Vittorio era un ragazzo innamorato della vita e acceso da mille passioni. Amava la poesia e la letteratura, aveva divorato i libri di Bukowski, di William Burroughs e di tutta la beat generation, era un lettore onnivoro e un appassionato di rock. Prima di ogni viaggio si registrava le cassette con i suoi artisti preferiti, roba seria tipo Rem, Jeff Buckley, Soundgarden, Jimi Hendrix, Guns N’ Roses.
Il suo primo viaggio in Israele avviene nel 2002 con la ong IPYL, l’anno dopo entra a far parte dell’ong International Solidarity Movement. Completamente assorbito dalla causa palestinese, Vik scrive sul blog le sue prime corrispondenze dove prende posizione schierandosi contro il comportamento di Israele nei confronti della popolazione della Striscia di Gaza, che vive in una sorta di affollata prigione a cielo aperto. I suoi veementi articoli gli valgono l’inserimento, a sua insaputa, nella lista nera delle persone sgradite a Israele. E infatti lo fermano alla frontiera con la Giordania. Vittorio viene picchiato dai militari israeliani e lasciato in territorio giordano dove fortunatamente viene soccorso.
Qualche mese dopo, ritorna in Israele per partecipare all’International Nonviolence Conference e, nuovamente, viene picchiato, arrestato e poi espulso dopo sette giorni d’ospedale.
Lo scrittore israeliano Amos Oz dice pubblicamente che Israele ce l’ha con Vittorio per i suoi articoli, che squarciano il silenzio sui crimini di guerra perpetuati a Gaza, e possono costare a Israele pesanti sanzioni internazionali.
Vittorio però non si ferma, la Palestina ormai per lui è più che una missione. Si tatua sul braccio Handala, il bambino creato dal disegnatore palestinese Naji Ali che gira le spalle al mondo perché il mondo le gira a lui. Poco alla volta Vik impara l’arabo, si crea una fitta rete di amici, esce in mare coi pescatori palestinesi costretti a restare entro le tre miglia pena le sventolate di mitra da Israele (peccato che vicino alle coste il pesce sia inquinato), accompagna i contadini a raccogliere i frutti della semina al confine, anche qui fra le pallottole dei soldati e rischi inauditi. E poi scrive, scrive e ancora scrive. Scrive e documenta tutto. È a Gaza, dove ha ottenuto la cittadinanza onoraria palestinese, durante i 21 giorni di bombardamenti consecutivi dell’operazione Piombo Fuso, con l’esercito israeliano che mette a ferro e fuoco la striscia. Durante quei giorni, Vittorio aiuta i feriti, gira con le ambulanze e scrive i suoi reportage sotto le bombe, inviandoli poi al Manifesto che li pubblica ogni mattina, regalando al mondo una delle poche testimonianze dirette di quella mattanza.
Gli accorati reportage di Vittorio diventeranno il libro “Gaza – Restiamo Umani”, che verrà tradotto in inglese, francese, spagnolo e tedesco. Manco a dirlo, Arrigoni devolverà in beneficenza alla causa palestinese i propri diritti d’autore.
Coraggioso, appassionato, sincero, Vittorio era uno che zitto non ci stava. Quando lo scrittore Roberto Saviano disse pressappoco che Israele, e in particolare Tel Aviv, erano un esempio di accoglienza e democrazia, Vittorio realizzò un video da Gaza dove “asfaltava” lo scrittore di “Gomorra” con inattaccabile precisione.
Amante della giustizia e paladino dei senza voce, Vittorio ha chiuso la propria esperienza di vita a soli 36 anni.
È la sera del 14 aprile 2011 quando Arrigoni esce dalla palestra di Gaza dove quasi ogni sera va ad allenarsi. Con la scusa di un passaggio a casa, viene rapito da un gruppo terrorista dichiaratosi appartenente all’area jihādista salafita, anche se tre di loro successivamente smentiranno l’appartenenza al gruppo. Poche ore dopo viene mostrato un video in cui Vik appare bendato e legato, mentre i sequestratori accusano l’Italia di essere uno “stato infedele” e Vittorio di essere entrato a Gaza “per diffondere la corruzione”. I terroristi lanciano un ultimatum, minacciando l’uccisione di Arrigoni entro il pomeriggio del giorno successivo se non verrà scarcerato il loro leader, Hisham al-Saedni noto anche con il nome di battaglia Abu Walid al-Maqdis, e altri militanti jihādisti detenuti nelle carceri palestinesi. E chiedono pure un milione di dollari, giusto per non farsi mancare niente.
Non aspetteranno nemmeno una risposta, perché Vik viene ammazzato qualche ora dopo.
La morte di Arrigoni crea grande scalpore internazionale e viene condannata da tutti, a partire da Hamas fino all’ultimo poveraccio sulla striscia di Gaza a cui Vittorio aveva teso la mano.
La polizia palestinese uccide due dei sequestratori durante l’arresto mentre altri tre finiscono in prigione, condannati all’ergastolo.
Riflettendo su questa triste storia a distanza di dodici anni e in un momento in cui sembra essere ritornati proprio ai maledetti giorni dell’operazione Piombo Fuso, sorge spontanea una riflessione: nei suoi anni dedicati alla questione arabo-israeliana, Vik è stato pestato e incarcerato dagli ebrei e ucciso da un gruppo di arabi estremisti. Assurdo, vero?
Ma più di tutto a Vittorio l’ha ucciso l’ignoranza, quella che si annida in ogni conflitto. Quella che trasforma gli uomini in bestie. Quella che uccide l’amore.
La guerra è ignoranza, la guerra è cattiveria, e fa gli uomini ignoranti e cattivi.
E questo Vittorio lo sapeva bene, anzi benissimo. In uno dei suoi articoli aveva scritto: “Io che non credo alla guerra, non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera”.
Spero col cuore che si fermi presto tutto questo sangue.
Amore immenso per la memoria di Vittorio “Vik” Arrigoni.
Restiamo Umani!