Mia cara Olympe

Le donne al lavoro meritano un Nobel

In questo inizio d’autunno che pare ancora estate e ci lascia addosso enormi inquietudini rarissime le buone notizie : una è sicuramente rappresentata dal poker di donne che si sono aggiudicate il Nobel – Narges Mohammadi (attivista iraniana, Nobel per la pace), Katalin Karikó (biochimica ungherese, per la medicina),  Anne L’Huillier (Nobel per la fisica)  e Claudia Goldin, ultima ad essere insignita per le sue ricerche economiche in materia di gender gap sul mercato del lavoro.

Un Nobel importante questo ultimo perché va ad una economista – ma anche storica e sociologa Goldin, nata 77 anni fa a New York, prima donna a insegnare Economia  ad Harvard – che  ha messo sotto la lente quell’affare complicato che è la partecipazione femminile al mercato del lavoro, e spiegando come la gara – se di gara si può parlare tra uomini e donne –  sia viziata da una molteplicità di fattori, alcuni dei quali inaspettati, che hanno come risultato non solo la sottorappresentazione delle donne sul mercato del lavoro, ma anche un divario di salario a loro sfavore. Goldin lo ha fatto con competenza di economista e piglio di storica analizzando 200 anni di dati statunitensi sulla partecipazione al mercato del lavoro, dando conto di un andamento non rettilineo e sconfiggendo l’idea che a crescita economica corrisponda automaticamente un dato in aumento di donne al lavoro. Ciò che Goldin ha dimostrato è che i cambiamenti della struttura produttiva nel tempo, le barriere legislative, la difficoltà maggiore o minore a conciliare i ruoli, l’effetto maternità in un’organizzazione del lavoro che premia la presenza più che il risultato, persino le aspettative personali e le scelte di istruzione sono tutti fattori che hanno pesato  e continuano  a pesare – variamente e a seconda dei periodi storici – sul lavoro delle donne e sulla retribuzione. Anche oggi, anche dopo la pillola anticoncezionale che consente di controllare la riproduzione, e anche in quei paesi ad alto reddito in cui ormai le donne studiano più e meglio degli uomini ma, a distanza di qualche anno dall’ingresso nel mondo del lavoro, si ritrovano più indietro nei percorsi di carriera.

Che l’accademia svedese abbia riconosciuto l’enorme valore per la collettività della ricerca di Goldin sul gender gap è bello e importante. Ancora di più che lo abbia declinato al futuro: “Grazie alla ricerca innovativa di Claudia Goldin, ora sappiamo molto di più sui fattori sottostanti e sulle barriere che potrebbero essere affrontate in futuro», ha dichiarato Jakob Svensson, presidente del comitato che conferisce il Nobel per l’Economia. Speriamo non sia un condizionale: gli ostacoli non ‘potrebbero’, ma devono essere affrontati perché la gara di cui sopra non continui a vedere vincitori e vinte, ma sia, finalmente, una corsa equa. Per dare un numero, il Global gender gap report 2023  calcola che per raggiungere la parità di genere nel mondo ci vorranno ancora 131 anni. L’Italia sta peggio: nell’indice complessivo si trova al 79° posto ed ha perso 16 posizioni rispetto al Global gender gap report del 2022.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, ospita un'ampia mostra personale dell'artista iraniana SHIRIN NESHAT vincitrice del Leone d’oro alla Biennale di Venezia del '99, del Leone d’argento per la miglior regia al Film Festival di Venezia nel 2009 e del Premium Imperiale a Tokyo mel 2017. I temi esplorati dall'artista sono quelli dell’identità', della memoria e dell’appartenenza. La lente attraverso cui Neshat interpreta la Storia e la Contemporaneità non solo del suo Paese d'origine, l'Iran, ma del mondo intero, è lo sguardo delle donne: dagli esordi nei primi anni Novanta con la serie fotografica Women of Allah, i celebri corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, fino a The Fury, video-installazione che anticipa il movimento “Woman, Life, Freedom”. La ricerca di Shirin Neshat però travalica il tema di genere e, partendo dal dualismo uomo-donna, indaga le tensioni tra appartenenza ed esilio, salute e disagio mentale, sogno e realtà. La mostra è visitabile dal 28 marzo all'8 giugno. Il servizio di Tiziana Ricci.

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