![The Bear](https://www.radiopopolare.it/wp-content/uploads/2023/09/playground-sito-5.jpg)
Dopo 147 giorni di sciopero e cinque di contrattazioni, il sindacato degli sceneggiatori hollywoodiani e l’associazione di produttori e streamer hanno raggiunto nella notte di domenica 24 settembre un accordo provvisorio per il contratto collettivo. Un accordo di cui ancora non si conoscono i dettagli, e che dovrà essere votato e approvato dalla maggioranza dei membri della Writers Guild of America, ma che per quello che se ne sa ora ha tutte le potenzialità per essere una vittoria storica dei lavoratori: in un’email ai propri iscritti, il sindacato ha comunicato di aver ottenuto risultati riguardo a ogni singola richiesta, dagli aumenti dei compensi alle misure da adottare nelle writers room fino alla regolamentazione dell’utilizzo delle intelligenze artificiali (quest’ultima, pare, la questione su cui più si sono scannati sceneggiatori e produttori). Lo sciopero è ancora in corso, ma sono stati sospesi i picchetti – che, lo ricordiamo, provocano la chiusura dei set davanti cui si svolgono, visto che gli iscritti ad altri sindacati non possono entrare in un luogo di lavoro picchettato –, anche se i vertici della WGA hanno invitato i propri membri a partecipare alle manifestazioni dei colleghi attori: questi ultimi un accordo ancora non l’hanno raggiunto, anche se, visto che molte delle richieste sono assimilabili a quelle degli sceneggiatori, si dà abbastanza per scontato che possa arrivare in fretta. I primi a poter tornare in onda in tv saranno i conduttori di talk show, portando un po’ di varietà in un palinsesto autunnale che al momento si compone solo di reality e sport. In generale, è interesse di tutti – soprattutto, a questo punto, di produttori, network e servizi streaming – ripartire possibilmente a ottobre, “salvando” così una stagione – televisiva, ma anche cinematografica, se pensiamo a quanto è fondamentale il circuito dei premi che porta agli Oscar per tutti quei film che non sono mega blockbuster – che rischiava di andare persa. E dunque, in attesa di verificare l’effettiva vittoria dei sindacati, la serie da vedere, rivedere o riscoprire non può che essere The Bear, la cui seconda stagione è approdata sulla piattaforma Disney+ nel corso dell’estate. Ufficialmente, The Bear parla di cucina e del mondo della ristorazione: nella prima acclamatissima annata, decretata pressoché all’unanimità tra le migliori nuove serie dello scorso anno, tutto si svolgeva nel malmesso retrobottega di una tavola calda di Chicago, il cui proprietario, Carmy Berzatto, era un giovane chef di fama internazionale che decideva di abbandonare i ristoranti di lusso per concentrarsi sull’attività di famiglia. La seconda stagione, invece, racconta una trasformazione, o meglio, il suo faticoso tentativo: Carmy, la collega Sidney, il “cugino” Richie e tutto il resto dello staff decidono di trasformare l’unto & bisunto Original Beef of the Chicagoland in un nuovo raffinato locale, che chiameranno appunto “The Bear”. Tutt’altro che facile: i soldi non bastano mai, bisogna stringere alleanze discutibili, i problemi sembrano moltiplicarsi invece che risolversi, la data d’apertura si avvicina in fretta. Proprio come i suoi protagonisti, però, anche The Bear nella seconda stagione allarga lo sguardo, lo solleva dal limite ristretto della piccola cucina malconcia per girovagare per la città, ed esplorare spazi nuovi, anche nel tempo: ci sono episodi ambientati in altri ristoranti – dove i nostri eroi vanno a “studiare” per migliorarsi –, un’intera puntata che si svolge a Copenhagen, e soprattutto un lungo (dura quasi come un film) flashback che ci riporta a un pranzo di Natale di qualche anno prima, e illumina meglio i traumi che guidano le scelte di Carmy e Richie. È un episodio – il sesto, di dieci, intitolato Pesci – fitto di guest star – tra tutte svetta un’incredibile Jamie Lee Curtis, che quest’anno ha già vinto l’Oscar per Everything Everywhere All at Once – e che, sebbene ambientato a Natale, fa salire la tensione a livelli da horror: qualcosa che, scommettiamo, restituisce in modo ben più autentico l’atmosfera per nulla rilassata che molti di noi navigano durante le vere riunioni di famiglia. Ma che c’entra The Bear con gli scioperi di Hollywood? Beh, in entrambi i casi, quello di cui si parla davvero è lo stato del lavoro contemporaneo: poche serie come The Bear sanno raccontare l’ansia, il burnout, la precarietà costante, lo stress ingestibile, l’immane fatica del lavorare oggi. Senza dimenticare di mostrare, di tanto in tanto, quello che il lavoro potrebbe ancora essere: un luogo, prima di tutto, in cui fare e diventare comunità. Un servizio alla volta.