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Ibrahim Hesnawi è il capofila del reggae in Libia

Il reggae ha conosciuto una capillare e rapida globalizzazione, e nel giro di pochi anni la musica emersa dalla Giamaica alla fine degli anni sessanta è stata adottata e declinata praticamente dovunque. Ma forse non è molto noto che c’è stato e c’è tuttora un grande seguito per il reggae anche in Libia. Un fenomeno con un capofila riconosciuto, un musicista che dagli anni settanta è rimasto fedele al credo reggae, e che è ancora oggi in attività, Ibrahim Hesnawi: l’etichetta Habibi Funk gli dedica una antologia, in uscita ai primi di ottobre e disponibile in Lp e Cd, intitolata appunto The Father of Libyan Reggae. Nato nel 1954 a Tripoli, la capitale, poco più di due anni dopo l’indipendenza del paese, Ibrahim Hesnawi comincia ad
appassionarsi di musica durante l’adolescenza e impara a suonare la chitarra: sono gli anni settanta e Hesnawi è influenzato da Jimi Hendrix, dal rock e dal blues, ma senza snobbare i grandi musicisti libici. Nel ‘75 poi un amico gli fa ascoltare un disco di Bob Marley: per Hesnawi è una folgorazione, e dal reggae non si staccherà più. In Libia il reggae suona familiare perché è simile ad un ritmo tradizionale legato alla derbuka, e questo ha favorito il suo radicamento nel paese. Ma del reggae Hesnawi, oltre alla musica, fin da quel primo disco di Bob Marley apprezza moltissimo il messaggio: per questo, per poter veicolare dei contenuti analoghi – pace, amore, libertà, lotte degli oppressi, unità dell’Africa – Hesnawi non esclude l’inglese ma canta per lo più in arabo libico. Leggendo le dettagliate note di copertina dell’album, scopriamo poi che negli anni settanta e ottanta importanti artisti e gruppi libici venivano in Italia a registrare i loro dischi. In Italia Hesnawi incide quello che è rimasto l’unico Lp della sua discografia, accanto a una quindicina di cassette e Cd: realizza l’album, uscito col titolo Hesnawi and Peace, lavorando con Alessandro Blonksteiner, noto per aver arrangiato brani di Nico Fidenco e di Sandra Mondaini e come direttore d’orchestra per colonne sonore. Hesnawi sotto il regime di Gheddafi non ha avuto nessuno dei problemi, dalla censura alla prigione, con cui si sono dovuti invece confrontare tanti altri musicisti libici. I generi importati dall’estero non erano ben visti, ma il reggae era molto popolare e forse c’era quella affinità con la tradizione libica che non lo faceva percepire come straniero, mentre i testi di Hesnawi, con i loro ideali panafricanisti e di pace e amore si conciliavano con l’ideologia di Gheddafi o risultavano innocui. E nei confronti delle sue canzoni Hesnawi dichiara di non avere sperimentato ostilità neanche nella tormentata Libia di oggi. Neppure i suoi dreadlocks
sono mai stati un problema. Per molti musicisti lo sconvolgimento della Libia iniziato nel 2011 si è tradotto in una pesante crisi o nella fine delle loro carriere: non così per Hesnawi, che si è adattato alla difficile situazione e non si lamenta. Negli anni settanta Hesnawi è stato uno dei principali protagonisti di una primavera della musica libica: adesso, a quasi settant’anni, e in una situazione come quella della Libia di oggi, Hesnawi, forte della positività del suo reggae, non rinuncia a sperare che la musica e l’arte in Libia possano rinascere e dare il loro contributo al miglioramento delle persone e della società.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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