L'Ambrosiano

Giovanni XXIV e l’ordine del tempo

«In Vietnam, se non andrò io, andrà Giovanni XXIV». La battuta di Francesco è un piccolo capolavoro; ripropone la densità della storia recente e getta luce su un futuro buio. Di ritorno dalla Mongolia, Paese incuneato tra Russia e Cina, grande più di cinque volte l’Italia ma con un numero di cattolici inferiore a quello d’un nostro borgo, neanche duemila (una botta di
Bergoglio alla mentalità di folle, bandierine, appartenenze) si affida a un nome, Giovanni, che sa di speranza. Giovanni XXIII ha tanto da dire oggi. Roncalli era molto sentito dalla gente. La sera dell’apertura del Concilio, 11 ottobre 1962, invocato dalla folla in piazza San Pietro disse: «Persino la luna si è affrettata stasera. Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo»; «Continuiamo a volerci bene così; a cogliere quello che ci unisce, lasciar da
parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà»; «Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”». Dopo 15 giorni il Papa scongiurò lo scontro USA/URSS per i missili a Cuba; dalla Radio Vaticana tenne un discorso il cui testo era stato prima consegnato agli ambasciatori delle due superpotenze. Confermò che la
Chiesa avrebbe lavorato per la pace con la Pacem in terris. Ulteriore monito della battuta di Francesco: il Vietnam ove «andrà Giovanni XXIV» «come una simpatia nel dialogo», ha segnato generazioni con una lunga guerra. Sulla scia di richiami e nessi: scrive Rovelli ne L’ordine del tempo: «Il futuro è incertezza, desiderio, inquietudine, spazio aperto, forse destino». Allo
squadernarsi di prospettive dà parole la poesia: per Rovelli è «saper vedere al di là del visibile». Poeta delle immagini Liliana Cavani riprende il libro dello scienziato per il bellissimo film presentato a Venezia. La regista Leone d’oro alla carriera ha coraggio oltreché arte: rappresenta un’umanità minacciata d’estinzione da un meteorite che però alla fine si salva. Dopo la grande paura la scampa: il sasso spaziale la sfiora con una gran luce e si perde. Luce, difese e convenienze mollate ognuno trova spazi di verità in sé e con gli altri. Le battute somigliano alla poesia: tolgono veli e pungolano per scelte vere.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    Il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, ospita un'ampia mostra personale dell'artista iraniana SHIRIN NESHAT vincitrice del Leone d’oro alla Biennale di Venezia del '99, del Leone d’argento per la miglior regia al Film Festival di Venezia nel 2009 e del Premium Imperiale a Tokyo mel 2017. I temi esplorati dall'artista sono quelli dell’identità', della memoria e dell’appartenenza. La lente attraverso cui Neshat interpreta la Storia e la Contemporaneità non solo del suo Paese d'origine, l'Iran, ma del mondo intero, è lo sguardo delle donne: dagli esordi nei primi anni Novanta con la serie fotografica Women of Allah, i celebri corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, fino a The Fury, video-installazione che anticipa il movimento “Woman, Life, Freedom”. La ricerca di Shirin Neshat però travalica il tema di genere e, partendo dal dualismo uomo-donna, indaga le tensioni tra appartenenza ed esilio, salute e disagio mentale, sogno e realtà. La mostra è visitabile dal 28 marzo all'8 giugno. Il servizio di Tiziana Ricci.

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