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Salario Minimo: parla Marta Fana. “Necessario. Ma la proposta delle opposizioni non basta”

salario minimo

Se il tema del salario minimo oggi è al centro del dibattito politico e pubblico, lo si deve in buona parte anche grazie alla ricercatrice Marta Fana.
I titoli dei due libri scritti insieme al fratello Simone Fana, anche lui ricercatore sulle politiche del lavoro, “Non è lavoro, è sfruttamento” e “Basta salari da fame” , pubblicati da Laterza, sono diventati di fatto gli slogan di ogni battaglia contro il lavoro povero ed a favore di un salario minimo legale in Italia.
I due testi, che analizzano con dovizia di dati la situazione del lavoro povero in Italia, sono usciti rispettivamente nel 2017 e nel 2019.
Una strada fatta di centinaia e centinaia di incontri, in spazi fuori dalle grandi organizzazioni, lungo tutta la penisola: dalle grandi città ai piccoli centri di Provincia.
Sembra passato un secolo da quando, nel sindacato confederale o dal Pd, si contestavano ferocemente quelle tesi, e parlare di salario minimo sembrava un tabù. Oggi in questi contesti politici e sindacali, salvo qualche irriducibile, nessuno si sogna di negare il problema, o di mettere in discussione l’importanza di avere, anche in Italia, un salario minimo legale quale strumento fondamentale per combattere il lavoro povero.
37 anni, di origini siciliane, molti anni di attività di ricerca sui temi sociali e del lavoro tra Italia, Francia e Spagna.
Studiosa e divulgatrice, Marta Fana diviene un volto noto anche ad un pubblico più ampio quando in diretta TV ammutolisce a suon di dati, un risentito Oscar Farinetti che snocciolava tutta la ritrita e falsa retorica sui giovani fannulloni.
Oggi, dopo un anno di “silenzio stampa”, a Radio Popolare torna a parlare del tema al centro dei suoi studi, finalmente divenuto centrale nel dibattito politico.

Massimo Alberti: Sembra passato un secolo dalla pubblicazione di quei libri, dalle presentazioni, alcune ne posso essere testimone diretto. Da parte del sindacato, da parte dell’attuale opposizione, c’era molta diffidenza, quando non conclamata ostilità e pressione, in molti casi contestazione verso quelle tesi, cosa è cambiato oggi e ha portato al centro del dibattito il tema del salario minimo?

Marta Fana: Nel 2019 quando è uscito il libro “Basta salari da fame!”, come dicevi tu prima non lavoro e sfruttamento ma anche tempo rubato di Simone sulla riduzione dell’orario. Il tema del salario minimo era un tabù proprio per questa politica istituzionale, tranne che per il Movimento 5 Stelle. Quando esce il libro c’era già la proposta del movimento cinque stelle di istituire un salario minimo legale in Italia, partiamo analizzando quella proposta ma allargando lo sguardo, perchè il tema del salario minimo è solo uno dei temi dentro la grande questione salariale di questo paese. Cosa è cambiato alla possibilità di istituire un salario minimo in Italia, secondo me da un lato oggi sono peggiorate le condizioni materiali di vita di milioni di lavoratori dopo anni di inflazione dopo quella che è stata poi la crisi del covid. Questi sono dati reali che peggiorano e aggravano una situazione che già esisteva, oggi quello che è cambiato è che con un governo di destra qualcosa si dovevano inventare, dovevano tirare fuori qualcosa che fosse effettivamente sentito nella società per fare un’opposizione almeno furba se non intelligente, scusate se la definisco così però effettivamente i temi del dibattito in se non sono cambiati, cioè del salario minimo c’è bisogno, il lavoro povero in Italia esiste, anche a causa dell’abolizione del reddito di cittadinanza da parte di questo governo. L’opposizione non si è vista più di tanto, se non un pezzo di opposizione sociale, ma le condizioni sono già tutte prima, gli argomenti non sono cambiati almeno da parte nostra rispetto a quello che scrivevamo nel libro

Massimo Alberti: Cosa ti dicevano quando presentavi il tuo libro dalla Cgl o anche dai partiti del centro sinistra ?Mentre chi ti ha sempre ascoltata?

Marta Fana: In termini di contestazione o in qualche modo opposizione c’era il lato pseudo sinistra istituzionale più o meno radicale per cui soprattutto al lato confederale si diceva “basta la contrattazione collettiva nazionale” e quindi una legge sulla rappresentanza che faccia fuori i contratti e quindi anche i livelli salariali affinché questa questione fosse risolta. Questo non è vero perchè sappiamo che tutto dipende da come si fa il salario minimo legale è presente perchè già nella proposta del Movimento 5 Stelle c’era già un salario minimo legale che fungesse da pavimento sotto il quale nessun lavoratore potesse essere pagato e minimi contrattuali e quindi la grande autonomia nella contrattazione nel nostro paese quindi, come sistema di relazioni industriali. Che poi vada rivista e aggiornata quello è tutto un altro
Un’altra cosa che si diceva è che la produttività in Italia è bassa quindi non si può pagare di più i lavoratori e così si rischia di creare molta più disoccupazione, sappiamo ormai essere una tesi falsa sul piano dei fatti. Tutti i paesi europei non solo lì dove il salario minimo è stato introdotto o aumentato l’occupazione non è stata distrutta, anzi è migliorata in termini qualitativi se non anche quantitativi perchè quelle aziende che vivono e provano a sopravvivere sfruttando in modo intensivo i lavoratori e quindi provando a competere soltanto sul costo del lavoro vengono spazzate via e questo fa bene all’economia perchè vengono create nuove aziende o i lavoratori si spostano da aziende improduttive e inefficienti, che sono appunto quelle che provano a sopravvivere soltanto sfruttando il lavoro senza fare investimenti senza senza preoccuparsi del cosa producono e come, a imprese più efficienti
Questi erano i due grandi macrotemi di opposizione alla proposta di introdurre un salario minimo che fosse adeguato ai tempi. Poi c’erano sempre opposizioni, argomenti, molto più a destra per cui un salario minimo lo possiamo anche fare basta che sia intorno ai cinque euro perchè quello è alla fin fine il salario orario in Italia se andiamo a considerare anche il nero.
Ovviamente eliminiamo questi dibattiti e questi tipi di argomenti che ancora ci sono nel nostro paese ma quelli importanti erano quelli legati alla contrattazione collettiva, il ruolo dei sindacati dicevamo a margine come grande cappello a questa questione del “lo stato non può intervenire nella contrattazione”, che è una cosa falsa, lo stato già nella la costituzione nell’articolo 36 dice nessun lavoratore può essere povero perchè ogni lavoratore ha diritto a una paga dignitosa per soddisfare i propri bisogni e quelli della propria famiglia. Questo significa che lo stato si pone come protagonista lì dove le parti sociali non sono in grado di garantire questo articolo della costituzione che precede l’articolo 39 quello che invece riguarda l’infrastruttura istituzionale e le relazioni sindacali della rappresentanza sindacale.

Massimo Alberti: Questa questione delle obiezioni che venivano poste introduce un elemento interessante che già citavi perché il salario minimo così come il reddito di cittadinanza sono i due provvedimenti bandiera di una forza politica al di fuori della sinistra tradizionale.

Marta Fana: Si effettivamente sono i due grandi cavalli di battaglia sul piano socio economico del Movimento 5 Stelle delle precedenti legislature in cui ha governato. Banalmente il movimento cinque stelle è stato in grado di fare politica cercando di intercettare quelle che erano veri bisogni di larghe fasce della nostra società che sono lavoratori e i disoccupati. Cercare di migliorare quelle condizioni di lavoro poi con dei limiti proposte che hanno avuto enormi limiti ma su cui non si poteva più tornare indietro, bisognava poi migliorarli mente come sappiamo è stato picconato fino al suo definitivo smantellamento. E sostanzialmente dal punto di vista politico significa stare dietro a quelli che sono i bisogni di una maggioranza o stare dietro a ai bisogni di una minoranza di interessi perchè ricordiamoci che si sono interessi contrapposti tra chi non vuol pagare i lavoratori e vorrebbe stagisti gratis per tutta l’estate o per interi cicli produttivi e chi invece si pone il tema

Massimo Alberti: A questo punto veniamo alla proposta dell’opposizione, cosa ne pensi? Ricordiamola a larghi tratti.. 9 euro orari lordi, un contributo dello stato alle imprese, nessun tipo di indicizzazione, una commissione anche a stabilirne le modalità di applicazione. Quali sono i suoi limiti ma anche come leggi il dibattito che si è creato poi attorno al salario minimo perchè, è chiaro, nel momento in cui si arriva al vasto pubblico alla politica istituzionale, cambiano anche in qualche modo le modalità di parlarne rispetto a temi di quando è un dibattito non dico semplicemente accademico ma anche sociale ma in ambiti decisamente meno ampi.

Marta Fana: Su questo forse non sono d’accordo, per il dibattito pubblico che si è sviluppato negli ultimi due anni e mezzo, molto più vasto e approfondito di quello attuale. E raggiungeva, mi ricordo, centinaia di incontri, dibattiti e richieste di discussione da parte di lavoratori organizzati e non, disoccupati, pezzi di società che avevano bisogno, ci si interessava alla questione. Mentre oggi è un dibattito che ovviamente risuona molto di più sui giornali, anche se non ci possiamo dimenticare che l’anno scorso eravamo pieni di articoli in cui si citava “basta salari da fame” come slogan, ma che oggi ci ritroviamo in un dibattito quasi tecnicista. Che poi finisce per essere un dibattito che interessa a pochi. E vengo alla proposta che è stata avanzata dalle opposizioni oggi. I limiti secondo me sono sui tre argomenti di sintesi che hai avanzato, ovvero i nove euro lordi l’ora come soglia oraria è un livello troppo basso. Lo era già quattro anni fa, quando il rapporto annuale dell’INPS mostrava che circa quattro milioni di lavoratori stavano sotto quella soglia. Oggi, con due anni di inflazione a doppia cifra, dieci euro lordi l’ora sono troppo pochi per soddisfare l’articolo 36 della Costituzione per cui i salari devono essere tali per garantire una vita dignitosa ai lavoratori.

Massimo Alberti: Correggimi se sbaglio su questo, i nove euro erano considerati quella soglia sotto cui il lavoratore era a rischio povertà.

Marta Fana: Esatto, perché è un dato ancorato sostanzialmente alla distribuzione totale dei salari. Una distribuzione salariale in Italia per cui però il salario che percepisce il 50% più povero dei lavoratori è a un livello molto basso, soprattutto se lo confrontiamo agli altri paesi europei. Per cui c’è un dato schiacciato, abbiamo salari bassi per tutti, e questo è uno dei temi che entra a gamba tesa nei limiti della proposta.

Massimo Alberti: Infatti, questo è importante da spiegare, perché ci dice che non è una soglia fissa, che chiaramente varia al variare delle condizioni socioeconomiche. Oggi, con l’inflazione che è arrivata e un ulteriore peggioramento generale della distribuzione della ricchezza, è chiaro che quella soglia è decisamente superata.

Marta Fana: Certo. È sicuramente superata in termini dell’obiettivo principe del salario minimo legale, come soglia sotto cui nessun lavoratore può essere retribuito proprio per combattere il lavoro povero. Allo stesso tempo però, se già i nove euro sono scarsi, se dentro la proposta non c’è nessun articolo, nessuna proposta di introdurre una forma di indicizzazione al costo della vita, quindi ancorare gli aumenti del salario minimo legale automaticamente a quello che è il livello di aumento dei prezzi, ovvero l’inflazione, questo continuerà ad aumentare l’inflazione perché non ci sono provvedimenti, come invece è stato in Spagna per attenuarla. Il potere di acquisto, quello che si portano a casa realmente i lavoratori, diminuirà. Questo però fa sì anche che non ci sia un’ipotesi di indicizzazione, una proposta che guardi non solo all’indicizzazione del salario minimo legale ma di tutti i salari, perché secondo me quello che non si sta facendo e quindi i grandi limiti di questa proposta, è non avere una visione generale. La questione salariale in Italia è une questione che va ben oltre il salario minimo legale, perché i salari anche contrattuali, pensiamo a tutti i contratti scaduti, pensiamo a tutti i rinnovi che non bastano e non sono bastati negli ultimi trent’anni a recuperare proprio l’inflazione anche quando questa era bassissima, ci porta di nuovo a ribadire che la struttura salariale in Italia è al collasso per intero, se non per intero, ovviamente togliamo i grandi redditi di manager o pochi privilegiati da questo punto di vista. Riguarda un po’ tutti.
Il terzo secondo me, e forse più fondamentale dal punto di vista politico, limite di questa proposta è proprio l’ipotesi di poter indennizzare i datori di lavoro che saranno costretti a pagare almeno questi nove euro o questa soglia stabilita per il salario minimo legale. Chiariamoci, il salario è una variabile di conflitto: non può essere pagata da altri lavoratori perché, se lo stato decide di defiscalizzare e quindi pagare gli aumenti contrattuali sul salario minimo attraverso la fiscalità generale, questo significa che la pagheranno i lavoratori stessi e i pensionati che contribuiscono alla fiscalità generale.

Massimo Alberti: Che è lo stesso discorso che succede con ad esempio il taglio del cuneo fiscale, lo stiamo vedendo. Infatti, ci si ritroverà a gennaio dove sostanzialmente con lo sconto sui contributi, quindi sempre sul salario differito, verrà meno. E di conseguenza è anche il problema politico del governo che rischia prima dell’elezione europea di ritrovarsi con qualche milione di lavoratori che si vedono in realtà abbassare il salario. C’è un punto importante, perché il paradosso è che nel momento in cui la proposta diventa lo strumento, dicevi tu prima, intelligente e furbo dell’opposizione per scardinare un dibattito politico, rischia anche di trasformarsi in un feticcio che però non è la bacchetta magica che risolve il problema generale.

Marta Fana: Sul feticcio secondo me l’indennizzazione ai datori di lavoro in generale è la politica cardine anche degli ultimi governi, se vogliamo anche a trazione del PD perché appunto cuneo fiscale, defiscalizzazioni, sgravi e contributi alle imprese ne abbiamo visti fin troppi senza ovviamente avere nessun effetto positivo né sull’economia, né sui salari né sull’occupazione. E questo in qualche modo, se la leggiamo in termini politici prima rispetto agli interessi da rappresentare, è in qualche modo il collante tra quelli che sono sempre stati gli interessi difesi da un grande pezzo del centro sinistra e di centro, mentre invece quelli che rispondono più classicamente alla sinistra di proteggere molto di più i lavoratori. Ovviamente così facendo in qualche modo si cerca di pacificare la struttura sociale per i lavoratori che stanno davvero ormai con l’acqua alla gola anzi ormai stanno quasi annegando. Che siano poi lavoratori o anche disoccupati, perché i disoccupati senza reddito di cittadinanza che cercano un lavoro si troveranno davanti a queste condizioni. Questo secondo me è un tema.
Quello che invece giustamente dici tu rispetto al salario minimo legale, che sia la panacea contro il lavoro povero. Noi già lo scriviamo nel libro, ma l’abbiamo sempre ripetuto, il salario minimo legale è uno degli strumenti cardine della battaglia politica oggi per migliorare le condizioni socioeconomiche del nostro paese. È importante per tantissimi motivi, anche se vogliamo proprio in termini di produzione, perché cerca di spazzare via anche tutte quelle imprese molto inefficienti, quindi in qualche modo incoraggiare una competizione se vogliamo più sana. Mette insieme un bacino di soggetti, lavoratori, molto diversi tra loro, li unifica intorno a un’idea: la grande battaglia contro il lavoro povero. Tuttavia non si può combattere il lavoro povero se allo stesso tempo continuiamo a dire che si può lavorare gratis attraverso stage e tirocini, non è possibile combattere il lavoro povero se non aggrediamo in modo deciso e frontale il grande tema dell’esternalizzazione in questo paese. Quindi anche il grande tema del part time, volontario o meno: perché quello che sappiamo è che una grande quota, una fetta di questo lavoro povero deriva proprio dalla scarsa intensità di lavoro. Appunto i salari sono bassi, lavori pochissime ore a settimana o al mese, avrai un salario mensile e annuale che rimarrà troppo basso per garantire, ancora una volta lo ribadiamo, una vita dignitosa a lavoratori e lavoratrici. E quindi il tema di pensare di utilizzare lo strumento del salario minimo legale, ma poi non guardare a queste grandi questioni che riguardano il mercato del lavoro ma anche della produzione, quindi in qualche modo sostituire l’elefante nella stanza che prima era il salario minimo legale e adesso invece sono i contratti collettivi nazionali scaduti o rinnovati a malapena (quando vengono rinnovati) mi sembra un po’ il gioco delle tre carte.

Massimo Alberti: Ma da questo punto di vista, la raccolta di firme non può essere l’elemento unificante che coinvolge vari pezzi della società attorno al tema del lavoro povero?

Marta Fana: Guarda, forse ho una visione diversa di quello che significa mettere insieme le persone. Persone che vanno a firmare e non si rincontrano, non discutono, non si ritrovano in piazza non può essere una strategia vincente. Quella di dire: “Sì, partecipate, ma alla fine statevene un po’ a casa vostra, ci pensiamo noi al dibattito”. Ho sempre pensato invece che il protagonismo dovesse attuarsi nel basso della società, mettendo insieme le persone a discutere. Forse l’esperienza più bella, il ricordo più bello che ho di tutte le presentazioni e dibattiti sul tema del salario minimo, era proprio incontrare lavoratori e lavoratrici talmente diversi tra di loro che in qualche modo creavano un’unica voce, con i loro racconti, le loro rivendicazioni e così via. La raccolta firme è importante, è interessante, però è poca cosa, non ha nessuno strumento, nessun momento di conflitto. Non c’è nessun momento in cui queste persone si interfaccino, si uniscano tra di loro e guardino chi è l’avversario di fronte. Firmano e se ne tornano a casa. Secondo me possiamo fare un po’ più di questo.

Massimo Alberti: L’ultima questione, Marta Fana, perché tutto questo dibattito è stato molto bello e molto interessante. Però siamo in una situazione politica per cui nemmeno questa proposta allo stato attuale ha chissà quali possibilità di passare. La maggioranza l’ha detto chiaramente, il governo Meloni si è rivolto al CNEL, oggi guidato da Renato Brunetta. Il CNEL che proprio nelle settimane scorse ha realizzato dei documenti in cui la questione del salario minimo non è neppure presa in considerazione. Anche qui potremmo definirla una risposta in qualche modo furba e intelligente per provare a smontare la proposta. Il CNEL però ha anche un’impostazione tale per cui c’è il rischio che smonti proprio alla radice il dato di che cos’è il lavoro povero oggi.

Marta Fana: Sì, il CNEL può giocare ovviamente questo ruolo cercando di mettere insieme tutte le voci che compongono il salario finale del subcontratto collettivo e dire che non sono poveri, che non c’è questo alto tasso di lavoro povero in Italia. Dopodiché ricordiamoci che il salario minimo orario che dobbiamo guardare quando ci riferiamo a un salario minimo legale è quello di base: tutti i contributi, tutti i premi, le ferie pagate, la tredicesima eccetera stanno fuori, queste vanno aggiunte e dobbiamo rivendicarle e chiederle ai datori di lavoro. Quindi sì, il CNEL può giocare oggi questo ruolo, allo stesso tempo però il tema rimane secondo me il come si fa questa battaglia. È ovvio che fare questa proposta oggi, dal punto di vista delle opposizioni, con un governo di destra, radicalmente di destra e neoliberale sul piano economico, è più facile perché sai che non la porti a casa. Io purtroppo mi sento anche nell’onestà di dover chiedere: ma come mai in questi quattro anni, quando il PD era al governo, quando il Movimento 5 Stelle aveva una buona, non ottima ma buona proposta, non se ne è fatto nulla? Mi diranno: “Si può cambiare idea”. È facile cambiare idea quando si sa che le cose non si possono realizzare. Se dobbiamo guardare con gli occhi dell’avvocato del diavolo, anche rispetto a quello che è stato l’attacco contro il reddito di cittadinanza, vediamo che poi sono un po’ dei fuocherelli che rimangono lì il tempo di far passare la nottata. E del resto questo è un dibattito che sta andando in onda ad agosto. Voglio vedere quanto si riprenderà davvero dalla prossima settimana tenendo dentro pezzi di società attiva.

Massimo Alberti: Beh, come dire, buon lavoro ai corpi intermedi! Se hanno ancora un senso e se esistono ancora. Dovrebbero farlo anche loro in qualche modo, oltre che quella spinta e partecipazione dal basso.

Marta Fana: Sì, sì. Secondo me, oggi che hanno fortunatamente un po’ cambiato idea, anzi hanno molto cambiato idea rispetto a quattro anni fa, hanno tutti gli strumenti per poterlo fare. Staremo a vedere se c’è la volontà politica di fare questo passo in avanti. Ricordandoci però quello che dicevo prima: di tenere insieme la questione del salario minimo insieme alla questione dell’esternalizzazione dei contratti collettivi nazionali e del part time perché altrimenti è un cane che si morde la coda e piuttosto che unire la maggioranza che ha bisogno di riscatto, staremo sempre un po’ a spezzettarla.

Massimo Alberti: E questo fa parte del problema in cui ci ritroviamo oggi. Poi c’è anche quel piccolo dettaglio di otto milioni di lavoratori che non hanno un contratto rinnovato e anche su questo aspetto vedremo come sarà l’autunno. Marta Fana, grazie davvero.

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    Massimo Alberti
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    Il femminicida non è un malato, ma un figlio sano del patriarcato, cresciuto in una cultura che considera la donna un essere inferiore. Da proteggere, sminuire, controllare, e nei casi più estremi, da picchiare o uccidere. In Italia, ogni tre giorni una donna viene uccisa, spesso per mano di chi dovrebbe amarla. E oltre agli omicidi, un sommerso di violenze – dal catcalling alla violenza psicologica – pesa sulle donne, mentre la società si interroga troppo poco sulle sue responsabilità. Da questa riflessione nasce il progetto ideato dal Teatro Carcano, scritto da otto autori uomini e interpretato da Alessio Boni e Omar Pedrini, un viaggio nella mente del carnefice per analizzare il retaggio culturale che alimenta la violenza di genere. Inaugurato il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, lo spettacolo è un atto di autocoscienza collettiva che punta a smantellare le radici patriarcali della nostra cultura. Ospite a Cult, Alessio Boni ne ha parlato con Ira Rubini.

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