
Le ulteriori modifiche per la tassa sulle banche, che uscirebbe ancor più annacquata dopo i pesanti ridimensionamenti seguiti all’annuncio, ma anche i cambiamenti sui taxi già annacquati dopo le proteste e sui costi dei biglietti aerei in seguito alle minacce di Ryanair e la contrarietà puramente ideologica al salario minimo indicano una enorme debolezza del governo Meloni quando dovrebbe toccare interessi consolidati per il bene collettivo, tanto più se riguardano pezzi del suo elettorato, siano tassisti o banchieri, piccole imprese o grandi compagnie. Ben diverso dall’autoritarismo con cui, senza esitare, si è tolto il reddito di cittadinanza, lasciando senza entrate dall’oggi al domani centinaia di migliaia di famiglie che non avevano un’alternativa.
Debole con i forti e forte con i deboli è formula forse abusata, ma in questo caso calzante: Meloni ha scelto fin dal primo discorso di rivolgersi ai poteri economici del Paese e ai gruppi di interesse che la sostengono, sempre che la politica dell’annuncio e marcia indietro, annuncio e marcia indietro non si riveli deleteria anche verso quei referenti che dovrebbe favorire.
Ora col Pnrr che langue, una manovra autunnale all’orizzonte, tra il debito che cresce per l’aumento dei tassi, l’inflazione che cala meno del previsto, i vincoli europei, le promesse elettorali da mantenere, si trova però con le casse vuote.
Qualcosa forse arriverà dalla stagione turistica, sempre che i prezzi alti compensino i cali di presenze. Ma dove prenderà il grosso senza nuove entrate? Se davvero si dovesse concretizzare l’ulteriore riduzione del gettito fiscale, resterebbero i tagli allo stato sociale per quei servizi che riguardano i più deboli, le uniche categorie con cui, in nome del darwinismo sociale, il governo Meloni ha dimostrato davvero di essere intransigente.
Il parere dell’economista Alessandro Volpi: