Ben prima che il tema della salute mentale tra i giovani e giovanissimi diventasse d’attualità, complice l’effetto negativo della pandemia, il disagio emotivo e la depressione hanno alimentato la vena creativa di molti artisti. Tra di loro c’è anche la fumettista svedese Moa Romanova, classe 1992. Il suo romanzo d’esordio, Goblin Girl, che è uscito in patria nel 2018 ed è stato il primo vincitore svedese, tre anni dopo, del premio Eisner per il miglior fumetto straniero pubblicato negli Stati Uniti, parla proprio di questo. L’autrice ha spiegato di averlo scritto quando si sentiva “uno schifo in uno dei mesi più deprimenti dell’anno: agosto.” E che è: “un ottimo esempio di guarigione attraverso il disegno”. Ampiamente autobiografico, il libro segue la vita di Moa, giovane ventenne di Göteborg (joteborie), che cerca di rimanere a galla in un quotidiano fatto di attacchi di panico, crisi d’angoscia e appuntamenti con dottori che non sembrano aiutarla. Ma anche di uscite e di chiacchiere con le amiche, di vagabondaggi cittadini, di tentativi più o meno riusciti di instaurare nuove relazioni.
La trama è semplice e lineare. Moa non sta male in seguito a un trauma specifico, non vive episodi che potremmo considerare particolarmente brutali o sconvolgenti. E le persone intorno a lei, dalla madre amorevole disegnata come quella dei Moomins (un fumetto per bambini amatissimo in Svezia), alle amiche, all’uomo ambiguo ma non troppo schifoso che si propone come il suo mecenate, non la ostracizzano né la stigmatizzano per il modo in cui si sente, anzi. Più che la storia, che ci porta nel mondo un po’ punk e underground dei giovani svedesi, con i loro tic e le loro abitudini festive, e che ha i suoi momenti comici, come quando la protagonista cerca di prendersi cura del gatto tenero ma teppa di un’amica, è in realtà il modo diretto, sincero e realistico in cui l’autrice racconta le fragilità di Moa e la sua voglia di non affogare a coinvolgere il lettore. Con lei si empatizza, le ci si affeziona.
Oltre a saper dare al suo personaggio tutto lo spessore psicologico che merita, la Romanova ha anche sviluppato una cifra stilistica particolare e ironica. Ispirata dai disegni delle fanzine degli anni 80 e dalle sperimentazioni con la risografia. Un processo di stampa simile alla serigrafia, che crea un effetto più artigianale e permette di giocare con i colori fluo, le sfumature e gli sfondi. I suoi personaggi si muovono su paesaggi che ricordano alcune prospettive di un De Chirico sotto acido e hanno corpi cartoonistici e deformati. La stessa Moa ha un corpo da gigante goffo, con una testa piccola, insaccata nelle spalle o nella sua felpa extralarge, che insieme alle orecchie a sventola si imporpora spesso di emozioni. Un modo per far affiorare anche attraverso i disegni le sensazioni, i pensieri e le psicosi che sconvolgono la mente.
Goblin Girl. Di Moa Romanova, traduzione di Alessandro Storti. 184 pagine a colori. Add Editore, 22 euro.