Tra la pubblicazione del primo e del secondo volume de “Il viaggiatore distante”, di Otto Gabos, all’anagrafe Mario Rivelli, sono passati sei anni. E l’arco cronologico coperto da questo romanzo a fumetti, che si svolge tra una riva e l’altra dell’oceano, è ancora più lungo. Il primo volume, Atlantica, si apre nel 2000, con un viaggio nella New York in cui ancora svettavano le Torri Gemelle. Il secondo, Empire State, comincia nel 2019. Con uno dei sogni, o meglio incubi di paternità, che intervallano tutta la narrazione.
Il protagonista, alter ego in gran parte biografico dell’autore, inizia la storia raccontandoci il suo trasferimento negli Stati Uniti dove viene accolto dalla famiglia e dal quartiere italoamericano in cui è cresciuta sua moglie. Qui gli anziani parlano un pidgin calabrese tutto loro e le famiglie organizzano matrimoni all’italiana con feste esagerate e danze scatenate, celebrando una tradizione che hanno reinventato alla salsa americana.
Mescolando storie familiari e globali, autofiction, sfondi noti come il Central Park e Ellis Island a quelli meno noti dello stato di New York, momenti comici ma anche un filone noir improbabile, che evoca alcune scene di “C’era una volta in America”, Gabos condensa in meno di 400 pagine 20 anni di vita tra due continenti. E in realtà anche di più, come quando racconta la Calabria dei suoceri riportandoci ai tempi in cui si decideva se emigrare in Germania o in America, in cerca di fortuna. Da grande osservatore, lo fa dando molto spazio ai piccoli dettagli della vita quotidiana. Come gli scaffali dei supermercati, il momento in cui la tv annuncia l’invasione dell’Iraq o l’ostinata ricerca del Caffè Medaglia d’oro, quello buono, da parte della nonna ultranovantenne che è l’essenza stessa della casa dove, assieme al suo primo figlio, nacque la voglia di scrivere questo romanzo.
Un romanzo che è un po’ un diario di viaggio di un viaggiatore lontano, appunto, perché costruito a partire da schizzi e tavole fatti nell’arco di una vita e poi tagliati, riscritti, riassemblati, in parte smussati. E anche perché Gabos viaggia continuamente nel tempo e tra i luoghi mentre elabora delle questioni intime ed esistenziali. Vagando con la mente nella sua Sardegna natale mentre è sulla metro newyorkese o ritrovando con l’aiuto di un figlio adolescente un vecchio album da disegno in un garage statunitense, quando è ormai tornato da anni in Europa. E anche attraverso i sogni e gli incubi, specchio delle sue paure di padre che esorcizza e rielabora mettendoli nero su bianco, anche per capirsi meglio.
I due libri si possono leggere separatamente ma l’autore è riuscito, a distanza di anni, a creare un romanzo in due parti che conserva l’unità narrativa. Certo, il tratto è un po’ cambiato, ma la decisione di continuare a mescolare chine, acquerelli e matite (anche se digitali) e di mantenere la bicromia permette di non sentirsi spaesati tra un volume e l’altro. Senza voler negare che il tempo passa, le sensibilità cambiano e con esse anche un po’ lo sguardo su quello che è stato.
Il viaggiatore distante. Di Otto Gabos. Due volumi da 176 e 160 pagine in bicromia. Coconino Press. 18 e 20 euro.