Si era detto, scritto, pensato: mai come quest’anno, mai così importante, mai così necessario. Con questo governo, con il seguito delle dichiarazioni di questi giorni, con il tentativo di sbianchettare la storia, far evaporare l’antifascismo, derubricare la liberazione in una generica libertà, come da lettera di Meloni sul Corriere di oggi.
Sono tornata dal corteo di Milano tanto stanca quanto contenta. Ricca dei tanti incontri fatti in corteo, dei saluti da lontano e degli abbracci da vicino, di quel momento in cui ci siamo fermati prima di entrare in piazza della Scala per intonare Bella ciao e, sì, c’era Elly Schlein con un bel fazzoletto rosso al collo e in tanti volevano fotografare lei, ma l’importante era altro, era quel cerchio di persone che cantava con forza e ragione la nostra canzone. Sono tornata stanca e contenta di avere camminato con amici e con mio figlio, di avere ascoltato, di avere ricordato e di essermi, si sa è anche l’età, a tratti anche un po’ commossa.
Quello che mi ero ripromessa per me stessa nel frastuono e nella sguaiatezza che ha preceduto questo 25 aprile l’ho visto pienamente compiersi nella piazza di Milano: non farsi espropriare della gioia di scendere in piazza, non lasciare che venisse avvelenata o immiserita dalle polemiche degli altri, quelli che non riescono a pronunciare la parola antifascismo, quelli ai quali questa data fa problema. Oggi – ed è raro di questi tempi – c’è stata gioia, agio, c’era il sentirsi noi e nel posto giusto, proprio quello in cui si voleva e doveva stare e in tanti, tantissimi. C’era desiderio, nel senso evocato da Gustavo Zagrebelsky :”Due sono i modi di prosciugare la democrazia: chiuderne le condotte e spegnerne il desiderio”. Ebbene, non ci sono riusciti. E alla vocina critica che dice : “Sì vabbè ma è un giorno, mica si possono trarre conclusioni…” chiedo, almeno per stasera, di starsene zitta.