La notizia è arrivata inaspettata, a poche settimane dalla partenza: la quarta attesissima stagione della serie HBO Succession, in Italia in onda dal 3 aprile su Sky Atantic e Now, sarà l’ultima. Una vera sorpresa, perché per molti versi Succession è la vera erede di Il trono di spade: non attirerà lo stesso mastodontico numero di telespettatori del colosso fantasy, ma negli Stati Uniti è uno degli show più seguiti, chiacchierati, analizzati e trasformati in meme degli ultimi anni.
È osannato dalla critica in modo pressoché unanime, e ricoperto di premi: agli ultimi Emmy, la terza stagione è stata il titolo più nominato, con 25 candidature, e ha vinto tra gli altri il riconoscimento più ambito, quello di miglior serie drammatica. Non è ambientata in un universo fantastico e non ha tra i suoi protagonisti draghi o zombie, né comprende complessi intrighi di palazzo, anche se, forse, metaforicamente, si potrebbe anche dire di sì: Succession si svolge nel mondo dei super ricchi, tra quell’1% percento di popolazione che esiste, abbastanza letteralmente, in un’altra realtà, pressoché inaccessibile alla gente comune.
Tra i suoi personaggi ce n’è almeno uno, il terribile patriarca Logan Roy interpretato dall’attore shakespeariano Brian Cox, che tutti temono ben più di un drago sputafuoco, e quasi tutti gli altri si muovono come zombie guidati dall’influenza del denaro. Riguardo agli intrighi di corte, poi, in ogni episodio ce n’è in abbondanza: alleanze che si formano e si sciolgono, pugnalate alle spalle, piani machiavellici e menzogne, tutto quanto per cercare di ottenere la benevolenza di Logan, oppure per tentare (finora del tutto inutilmente) di spodestarlo.
Creata dallo sceneggiatore inglese Jesse Armstrong (e il fatto che sia una penna non statunitense contribuisce a uno sguardo più acuto e beffardo sui ricchi a stelle e strisce), prodotta tra gli altri dall’attore Will Ferrel e dal regista Adam McKay (già autore di La grande scommessa e Don’t Look Up), Succession racconta di una famiglia vagamente ispirata ai Murdoch (ma ci sono echi di tutte le grandi dinastie della telecomunicazione americana, e anche di grandi corporation dell’intrattenimento come Disney) e, nonostante sia prevalentemente una satira, non nasconde le proprie ispirazioni da Shakespeare.
In vetta alla piramide alimentare c’è Logan Roy, l’ottantenne patriarca e padre padrone, fondatore dell’impero, che tutti temono, da cui tutti dipendono e che quasi tutti cercano in un modo o nell’altro di scalzare dal trono. Sotto di lui, i suoi quattro figli: il maggiore Connor, che si è sempre tenuto lontano dagli affari di famiglia godendosi i suoi milioni; il secondogenito Kendall, a lungo considerato (soprattutto da lui stesso) l’erede designato; l’unica figlia femmina, Siobhan, inizialmente ideologicamente contrapposta al conservatorismo della famiglia; e infine il più giovane Roman, il più scorretto e sfrontato, ma anche il più evidentemente traumatizzato dalle disfunzionalità familiari.
A eccezione del primogenito Connor, che tende a restare defilato se non per qualche idea ridicola (tipo candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, e bruciare dollari in una campagna elettorale senza speranza di andare oltre l’1%), gli altri tre figli si contendono la possibilità di esser nominati dal monarca assoluto Logan legittimi e incontestabili eredi, mentre Logan, di suo, non rispetta nessuno di loro abbastanza per cedere, neanche di poco, lo scettro. Ma la prole non è l’unica ad assediarlo, ci sono anche altri parenti (come il marito di Siobhan, Tom, inetto e arrivista; o il giovane cugino Greg, timido ma già doppiogiochista), collaboratori di lunga data, altri squali della grande industria, etc.
Succession, nonostante l’impalcatura da dramma familiare e finanziario, ha la sua maggior forza soprattutto nell’aspetto comico e surreale, orchestrando scene di confronto, dialogo o scontro tra personaggi meschini, ipocriti, talmente scollegati dalla realtà nel loro sfrontato privilegio da suscitare spesso nello spettatore risate incredule. Appartiene, Succession, all’ormai nutrito gruppo di film e serie che accompagnano il pubblico tra le stanze segrete dei super ricchi per rivelarne non il fascino quanto la pochezza, morale, intellettuale, emotiva. Illuminandone impietosamente la banale malvagità, l’assenza totale di empatia, l’egoismo senza fondo. Che una serie di successo come Succession si chiuda alla quarta stagione è una sorpresa, ma se mai dovessero mancarci i Roy sappiamo purtroppo di poterli ritrovare nella realtà.