A sei mesi dalle elezioni vinte dalla destra, c’è una fascia demografica e sociale a cui il governo Meloni non è mai piaciuto e piace ogni settimana di meno: è quella dei giovani under 30 laureati.
La grande maggioranza di questa fascia si sente infatti molto lontana da questa maggioranza soprattutto su due argomenti: i diritti civili (come matrimonio gay, emancipazione dal patriarcato, fluidità di genere, eutanasia) e l‘ambiente, il clima, il pianeta.
Per paradosso, pur essendo al secondo posto nella storia repubblicana tra i premier più giovani, ai giovani Meloni appare portatrice di una cultura vecchia, di un’ideologia vecchia, proibizionista e arretrata sui diritti civili, novecentesca e industrialista sul clima.
Intendiamoci, numericamente parlando Meloni può stare tranquilla: gli under 30 laureati sono poco più di una nicchia, circa due milioni, la maggior parte dei quali non ha neppure votato.
Inoltre in Italia, come noto, un under 30 è considerato ancora un bambino e quindi escluso da ogni ruolo di potere o influenza: solo 4 parlamentari su 600 sono sotto i 30 anni, ma più in generale in qualsiasi azienda pubblica o privata gli under 30 sono marginalizzati dai più anziani.
In più, come noto, i giovani laureati tendono ad andarsene, non per colpa di Meloni, sia chiaro, è un fenomeno in corso da anni, ma se già prima vedevano l’Italia come un Paese culturalmente arretrato, figuriamoci adesso. La pagina dell’ultimo rapporto Istat sulla cosiddetta fuga dei cervelli è impressionante.
In sintesi, dunque: la fascia demografica sociale degli under 30 laureati – quella che si sente più lontana dal governo Meloni – è minoritaria, tenuta fuori dai ruoli importanti e messa in condizione di andarsene o di volersene andare.
Forse sta a noi, cioè quelli di tutte le altre fasce demografiche e sociali, ribaltare questa condizione, e permettere loro di farsi invece avanguardia e seme di un cambiamento profondo del Paese.