L’originale francese s’intitola Dix pour cent, cioè “dieci percento”: la percentuale che un agente incassa da ogni ingaggio che riesce a procacciare alla sua star. Nella serie, che in Italia abbiamo visto (e possiamo ancora recuperare) su Netflix con il titolo Chiami il mio agente!, sono infatti gli agenti a esser protagonisti, mentre i nomi celebri di cui si occupano per una volta si devono accontentare di fare una comparsata. Ma che comparsata, però! L’intuizione dell’autrice di Dix pour cent Fanny Herrero è stata quella di scrivere, sì, personaggi finzionali come protagonisti, ma di far fare le star a vere star del cinema francese, nel ruolo esagerato e un po’ parodico di se stesse. Nelle quattro stagioni dello show francese (una quinta è stata promessa, ma ancora non realizzata), via via più di successo anche all’estero, sono passati, tra gli altri: Isabelle Huppert, Juliette Binoche, Isabelle Adjani, Jean Dujardin, Jean Reno, Cécile de France, Charlotte Gainsbourg e perfino l’italiana Monica Bellucci e la statunitense Sigourney Weaver. Le trame orizzontali seguono le vite private e professionali degli agenti e dei loro assistenti – inventati, appunto – mentre ogni episodio si organizza attorno a una trama verticale incentrata sugli psicodrammi di una o più “vere” star.
Dix pour cent in patria va in onda su France2, ma internazionalmente è distribuita da Netflix, e presto in molti hanno avuto l’idea di adattare il format al proprio contesto nazionale: ne esistono già un remake franco-canadese, uno turco, uno polacco, uno indiano ambientato a Bollywood, uno inglese e uno sudcoreano, e ora, da poco più di una settimana, anche uno italiano, prodotto da Sky, in onda su Sky Serie, Sky Cinema e NOW, intitolato Call My Agent: Italia. La sceneggiatura della trasposizione è stata affidata a Lisa Nur Sultan, già apprezzata autrice di script drammatici come Sulla mia pelle, ma anche di un altro adattamento italiano di una serie straniera, Non mentire, dalla britannica Liar. Naturalmente nella versione italiana di Dix pour cent l’azione non può che spostarsi a Roma, fin dal Dopoguerra il centro della produzione e dell’industria cinematografica italiana, tra ricordi della Dolce vita e della cosiddetta “Hollywood sul Tevere” e gli studi di Cinecittà. Nur Sultan racconta nelle interviste che colleghi e addetti ai lavori, alla notizia di una versione italiana di Dix pour cent avevano sollevato molte perplessità, prima fra tutte l’idea che in Italia non ci sia più un vero star system consolidato come in Francia. Ma guardando i primi episodi di Call My Agent: Italia l’esperimento sembra abbastanza riuscito: i personaggi “inventati” – cioè, di nuovo, i quattro principali agenti della CMA (la veterana Elvira, lo spietato Vittorio, la stacanovista Lea, il tenero Gabriele) e i loro assistenti – ricalcano gli originali francesi, ma le guest star famose sono, naturalmente, tutte italiane, e le trame di puntata sono cucite con intelligenza sulle loro specificità. Paola Cortellesi che si prepara per la parte di una regina etrusca in una grande serie internazionale in stile Il trono di spade facendosi dare lezioni da Alberto Angela; Paolo Sorrentino che vuole girare una nuova stagione della sua serie sui papi, questa volta con una papessa interpretata da Ivana Spagna, e nessuno ha il coraggio di contraddirlo; Pierfrancesco Favino che viene chiamato a interpretare Mario Draghi ma non riesce a uscire dal personaggio precedente, cioè Ernesto Che Guevara, con grande frustrazione della moglie Anna Ferzetti… Sono solo alcune delle divertenti storyline di queste prime sei puntate, che oltre ai superospiti che danno il titolo a ogni episodio (gli altri sono Matilda De Angelis, Stefano Accorsi e Corrado Guzzanti), sono fitte di piccoli e grandi camei e di strizzate d’occhio al mondo del cinema e della tv (l’attesa anteprima del nuovo film di Martone, i David di Donatello…), tra vicende che si divertono a ironizzare sulla celebrità di oggi, ricordando orgogliosamente anche quella di ieri.
Per pura casualità, Call My Agent: Italia si trova ad affrontare temi e situazioni simili a quelli che abbiamo visto nella quarta stagione di Boris, seppur con un tono molto diverso, più da commedia di costume che di satira scoperta. Le due serie, però, hanno in comune soprattutto il fatto di essere, alla base, delle comedy ambientate su un posto di lavoro: per questo, anche chi non sa nulla del mondo del cinema, finisce per riconoscersi nella sensazione di costante precarietà professionale e nelle ansie della performance che il lavoro contemporaneo, showbusiness o no, porta con sé.