“La locomotiva d’Italia”, “una delle regioni più avanzate d’Europa”. La propaganda della Regione Lombardia oggi fa a pugni con numeri che raccontano una storia diversa.
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Se nel confronto con le regioni più industrializzate d’Europa la Lombardia perde terreno sul fronte dell’innovazione, anche in Italia diversi indicatori socioeconomici vedono il sorpasso di regioni come l’Emilia Romagna.
Le cause? Pochi investimenti e profitti costruiti su un lavoro sempre più precario, bassa propensione alla ricerca e spesa per l’istruzione in calo, fasce di marginalità sociale in crescita, sanità condizionata dal peso del privato, una spesa pubblica che non crea ricchezza collettiva e determinata da scelte politiche clientelari.
L’economista Roberto Romano e lo statistico Paolo Maranzano hanno curato una approfondita e dettagliata ricerca che, cifra per cifra, smentisce la narrazione auto-incensatoria che il ceto politico della Regione Lombardia porta avanti da 30 anni, mostrando il ritratto di una Regione che ristagna sui suoi stessi allori.
Un lavoro che, attraverso Radio Popolare, Maranzano e Romano mettono a disposizione di tutte e tutti coloro che vogliono farsi un’idea realistica di dove vada oggi la Lombardia, e che è anche in importante ed utile strumento per chi si candida a guidarne le scelte politiche ed amministrative.
Paolo Maranzano: Ricercatore in Statistica Economica al Dipartimento di Economia, Metodi Quantitativi e Strategie di Impresa (DEMS), Università degli Studi di Milano-Bicocca. È stato visiting researcher presso centri di ricerca internazionali, tra cui Harvard University (USA), Leibniz University di Hannover (Germania) e Universidade de Aveiro (Portogallo). Pagina personale: www.paolomaranzano.net.
Roberto Romano: ha pubblicato saggi su riviste accademiche nazionali e internazionali, tra cui World Economic Review e PSL Quarterly Review, ed è stato assistente e tecnico del presidente della Commissione Industria della Camera dei Deputati Nerio Nesi (1996-2000). È anche autore del libro Squilibrio con S. Lucarelli.
Sommario:
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- Crescita a velocità ridotta
- Gli investimenti e l’arretratezza del capitale
- Valore aggiunto e crisi del sistema economico lombardo
- La marginalità del reddito da lavoro dipendente
- Occupazione e dinamica: cambia troppo lentamente
- Povertà e struttura in Lombardia
- Inquadramento dell’intervento pubblico in Regione Lombardia
- Conclusioni
- Bibliografia essenziale
Premessa e inquadramento della Lombardia
La Regione Lombardia con poco meno di 10 mln di abitanti e una popolazione potenzialmente in età lavorativa (15-64 anni) di oltre 6 mln, ripartita equamente tra uomini e donne, è più grande di alcuni Paesi europei come la Danimarca (6 mln di abitanti) o l’Irlanda (5 mln di abitanti), ed è poco più piccola del Belgio (11 mln di abitanti). La Lombardia, quindi, è un territorio equiparabile a Paesi che concorrono al funzionamento del governo europeo.
Il 12 febbraio 2023 ci saranno le elezioni regionali; è un appuntamento importante. Sebbene il governo della sanità lombarda catalizzerà la disputa elettorale[1], il governo dell’economia lombarda non è meno rilevante. Infatti, se indaghiamo e compariamo la Lombardia con i principali competitor europei, in ragione della propria dimensione, si osserva un progressivo arretramento dei principali indicatori economici e sociali. Si delinea una sorta di convergenza tra la Lombardia e il mezzogiorno d’Italia nella dinamica del reddito, del salario, degli investimenti e della ricerca e sviluppo. Un fenomeno lento, lungo almeno 20 anni e senza nessuna vera discontinuità nel corso di questi ultimi anni. Se l’Europa è l’orizzonte ideale della Lombardia, la politica economica regionale, così come le risorse nazionali che a vario titolo sono spese sul territorio lombardo, poco meno di 200 miliardi di euro a fronte di una spesa regionale pari a poco meno di 28 mld di euro, non hanno permesso il cambiamento di struttura necessario per soddisfare la domanda che cambiava contenuto tecnico e sociale. La così detta eccellenza lombarda, financo della sanità, se comparata con alcune delle Regioni italiane, diventa debolezza e arretratezza se utilizziamo l’Europa come benchmark[2]. A proposito di Europa, partendo dalle analisi sviluppate dal Programma ESPON 2020 (Progetto Migrare)[3], la Lombardia viene classificata tra le regioni industriali a basso contenuto innovativo e alta attrattività immigratoria. Una descrizione decisamente diversa dallo storytelling di Regione Lombardia[4] in cui essa viene assimilata a regioni altamente tecnologiche (es. Baden-Württemberg in Germania o le Fiandre belga) o addirittura ai grandi poli di servizi finanziari europei (es. Parigi, Amsterdam o Stoccolma)[5]. La costante e ingiustificata narrazione dell’eccellenza lombarda, lunga ormai 30 e passa anni, ha nascosto come e quanto fosse difficile per l’economia e la società lombarda diventare una economia europea, attrezzata per affrontare le sfide che l’Europa considera fondamentali. L’obiettivo del presente lavoro è di fornire strumenti per comprendere e valutare la reale struttura economica, sociale e tecnica della Lombardia, senza pregiudizi, ma con oggettività. Osservare e studiare le debolezze della Regione non è un esercizio di semplice critica (necessaria), piuttosto una via per capire dove e come intervenire per ri-proiettare la Lombardia nel suo ambiente ideale
Crescita a velocità ridotta(↑)
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è un indicatore “sintetico” (e con dei limiti importanti) di altre e più complesse variabili, investimenti e spesa pubblica innanzitutto, e permette di registrare e catturare dei fenomeni economici che la politica può correggere se sono negativi o incoraggiare se sono positivi. L’osservazione della dinamica nel tempo del PIL restituisce l’immagine di una Regione che, progressivamente, perde terreno rispetto ai principali partner europei. Il fenomeno si acuisce a partire dalla crisi dei subprime e dei debiti sovrani, rispettivamente 2009 e 2011, consolidandosi negli anni successivi. La minore crescita del PIL della Lombardia rispetto alla crescita della Germania, tra il 2008 e il 2020, è in media annua pari a meno di 1,5 punti percentuali, e meno 0,5 punti percentuali rispetto alla Francia. Sebbene la Lombardia abbia fatto meglio dell’Italia, questo “meglio” è abbastanza contenuto: 0,5% di PIL.
La Lombardia, in estrema sintesi, è marginalmente meglio dell’Italia, ma strutturalmente debole rispetto ai principali paesi europei (Figura 1, Variazione PIL a prezzi correnti, 2000=100). Questa minore e sistematica crescita della Lombardia non è, ovviamente, attribuibile al solo governo della Regione, responsabile di solo una frazione delle risorse finanziarie pubbliche spese che interessano il territorio lombardo. È piuttosto attribuibile alla mancata discussione sulla reale struttura economico-sociale che la caratterizza, portando ad un indebolimento e al rallentamento delle azioni necessarie per correggerne i punti critici.
Se consideriamo il PIL per abitante (Figura 2, Variazione del PIL a prezzi correnti per abitante, 2000=100), un indicatore che meglio di altri (sebbene non sia esaustivo) restituisce il grado di benessere degli abitanti, osserviamo come Lombardia e Italia siano perfettamente allineate. Ovviamente, si tratta di un allineamento nella dinamica, ma non nei livelli assoluti, in quanto il PIL pro-capite medio nazionale del 2019 è di 30.000€, mentre è 36.000€ per la Lombardia. D’altra parte, il grafico delinea anche la difficoltà economica e sociale italiana e di regione Lombardia rispetto ai grandi paesi Europei. Infatti, il PIL pro-capite della Germania è pari a oltre 40.500€ nel 2020 e con una dinamica in crescita[6], mentre la Spagna (pur partendo da livelli assoluti più bassi: 23.700€ nel 2020), cresce di circa il 20% in più rispetto all’Italia.
Gli investimenti e l’arretratezza del capitale(↑)
La letteratura economica assegna agli investimenti un ruolo fondamentale alla crescita economica[7]. Infatti, gli investimenti delle imprese sono direttamente proporzionali alle aspettative di crescita e di profitto delle stesse “imprese”. Possiamo dissertare sulla loro immediata o posticipata efficacia, alcuni economisti[8] affermano che occorre un tempo congruo affinché abbiano un qualche effetto (1-2 anni), ma la dinamica e l’incidenza sul PIL degli investimenti restituiscono due informazioni (economiche) importanti: 1) da un lato le aspettative (speranze) di crescita del PIL del capitale e degli imprenditori; 2) da un altro lato la quantità di capitale necessario per il sistema economico e industriale in particolare per rigenerare la propria struttura economica e tecnologica.
L’una e l’altra variabile non sono indipendenti; sono tante le “variabili” economiche e sociali che possono modificare le aspettative e l’incertezza insite in ogni sistema economico. In generale possiamo affermare che (1) tanto più gli investimenti sono realizzati per soddisfare la domanda emergente, tanto più l’impatto sul PIL sarà positivo; (2) tanto più gli investimenti sono knowledge-oriented, tanto più alto sarà il loro valore aggiunto; (3) tanto più il rapporto investimenti-PIL sarà elevato, tanto più la struttura economica è dinamica e capace di creare tanto lavoro quanto se ne perde, con il vantaggio (strutturale) di occupare persone che hanno maggiori qualità formative.
Ovviamente non tutto il lavoro è sostituibile, ma la combinazione tra innovazione e crescita permette una buona e forse genuina combinazione tra settori maturi e settori emergenti.
Guardando alla dinamica degli investimenti (Figura 3, variazione percentuale degli investimenti, 2000=100) si osserva quanto e come la crisi dei subprime e dei debiti sovrani abbiano condizionato le aspettative di crescita e, quindi, la propensione delle imprese a investire. È un fenomeno europeo, ma Italia e Lombardia registrano un livello di incertezza (minori investimenti) che merita una riflessione puntuale. Infatti, non solo la dinamica degli investimenti è contenuta (le curve per Italia e Lombardia sono quasi piatte), ma il rapporto investimenti-PIL restituisce un fenomeno più complesso (Figura 4, Rapporto Investimenti/PIL). Questo rapporto si riduce notevolmente, passando dal 22% del 2007 al 17,5% del 2019 in Lombardia. Se gli investimenti restituiscono la fiducia delle imprese rispetto al futuro, se il rapporto con il Pil cattura il livello dell’investimento necessario per riprodurre il capitale, allora pare evidente che la struttura economica lombarda (e nazionale) sembra intrappolata in una sorta di tunnel arduo da attraversare. Infatti, lo scarso livello degli investimenti rispetto al PIL è associabile ad un contenuto livello di specializzazione delle imprese ed è correlabile alla debole dinamica degli stessi investimenti. Più semplicemente, il capitale necessario per il buon funzionamento del sistema economico diverge dalla media europea, che nel tempo si è orientato verso settori a maggiore contenuto tecnologico, coerentemente con l’evoluzione quali-quantitativa della domanda.
Un’altra immagine della distanza tra il sistema economico lombardo da quello europeo (Germania e Francia) possiamo ottenerla da una stima circa l’intensità tecnologica degli investimenti (Rapporto spesa in ricerca e sviluppo su investimenti, Figura 5, Intensità tecnologica degli investimenti). In ragione della bassa propensione alla ricerca e sviluppo dell’economia lombarda, pari a 1,39% del Pil nel 2020, più o meno stabile nel coso degli anni considerati (2000-2020), l’intensità tecnologica degli investimenti regionali (7,60%) è pari alla metà di quella tedesca (14,83%) e inferiore a quella francese (9,83%). Al contrario, l’intensità tecnologica è, almeno fino al 2013, in linea con la media spagnola. La combinazione tra diversa specializzazione, propensione agli investimenti e aspettative economiche giustifica la minore dinamica del PIL, con degli effetti sul mercato del lavoro e del benessere importanti rispetto ai Paesi europei.
Valore aggiunto e crisi del sistema economico lombardo(↑)
La diversa specializzazione economica della Lombardia rispetto all’Europa condiziona molte variabili socioeconomiche della Regione. La minore intensità tecnologica degli investimenti e la contenuta, ma coerente, propensione agli investimenti, così come la dinamica del PIL, vincola il valore aggiunto per addetto. Sebbene la dinamica del valore aggiunto della Lombardia (non il valore assoluto) fosse in linea con le maggiori economie europee tra il 2000 e il 2008, a partire dal 2009 si registra un importante rallentamento, maturando un ritardo pari a 10 punti rispetto a Germania e Francia nel 2021 (Figura 6, variazione del valore aggiunto per addetto (2000=100), index EU-2015). Il risultato è coerente con la dotazione tecnica e tecnologica della struttura economica lombarda, che a loro volta condizionano la domanda di lavoro e la distribuzione del reddito da lavoro dipendente.
La dinamica del valore aggiunto richiama la così detta produttività del lavoro. La domanda a cui sarebbe necessario rispondere potrebbe essere la seguente: data la dotazione tecnica, sarebbe possibile aumentare la produttività del lavoro e, quindi, il reddito da lavoro dipendente? Difficile.
La produttività è figlia di molti fattori, che ne costituiscono un vincolo di struttura forte e difficilmente aggirabile con misure di alleggerimento dei costi (lavoro, capitale e materie prime):
– Capitale fisico e umano: il suo livello, la qualità e la sua funzione (esempio, anticipare della domanda oppure sostituire del capitale preesistente);
– Organizzazione e la dimensione delle imprese;
– Ambiente economico e sociale, più che la propensione al lavoro delle persone (che in Lombardia è particolarmente alta: 1417 ore medie lavorate per addetto in Lombardia nel 2019, contro 1330 ore medie tedesche).
La marginalità del reddito da lavoro dipendente(↑)
Uno degli effetti della dinamica del valore aggiunto, sebbene non sia l’unico, è il peso specifico del reddito del lavoro dipendente sul PIL. Il redito da lavoro dipendente (aggregato) regionale è pari al 40% del PIL nel 2019, contro una media tedesca del 53% e del 51% francese (Figura 7, Reddito da lavoro dipendente in rapporto al PIL). Questa distribuzione del reddito richiama il ruolo e il peso sociale di lavoro e capitale, nell’accezione data da Tarantelli, e dell’azione pubblica come agente economico preposto alla intermediazione tra capitale e lavoro, così come alla politica economica che dovrebbe guidare le grandi transizioni economiche.
Questa dimensione della politica economica (regionale) è tanto più importante se consideriamo che le misure legate al mercato del lavoro sono, sostanzialmente, attribuite alle regioni e agli enti locali. La formazione e le altre misure adottate dalla Regione per favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, senza una adeguata politica economica e industriale, riproducono l’esistente e non possono governare la trasformazione della struttura economica.
Occupazione e dinamica: cambia troppo lentamente(↑)
La maggiore crescita dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile nel corso di questi ultimi 20 anni è un risultato sociale ed economico importante e rispecchia l’evoluzione delle consuetudini e delle abitudini della società (Figura 8, Tassi di crescita del lavoro femminile e maschile della Lombardia).
L’occupazione maschile della Lombardia tra il 2000 e il 2021 è stabile (circa 2.3 mln), mentre quella femminile passa da 1.493 mln del 2000 a 1.868 mln del 2021. Sostanzialmente, la crescita del numero di occupati è interamente attribuibile alle donne. Rispetto al fenomeno della crescita dell’occupazione femminile dobbiamo comunque domandarci: quanta parte della crescita dell’occupazione femminile è attribuibile alle politiche pubbliche? Quanta, invece, è legata all’evoluzione della società nel suo insieme? Probabilmente l’integrazione del sistema economico regionale a quella europea ha permesso la creazione di profili lavorativi coerenti con l’evoluzione delle aspettative di genere, ma siamo altrettanto convinti che una politica economica pubblica capace di anticipare la domanda di beni e servizi, mediamente con un contenuto tecnologico più alto, avrebbe velocizzato e consolidato la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro.
Povertà e struttura in Lombardia(↑)
Il rischio di povertà e il tasso di deprivazione materiale (indicatore della povertà materiale della popolazione), così come il tasso di partecipazione al lavoro, sono tra le misure fondamentali per valutare lo stato di salute di una società e della sua economia. Ovviamente, la spesa pubblica può fare molto, ma la dinamica e la struttura economica non sono meno influenti.
Se consideriamo solo le regioni italiane con strutture comparabili a quelle di Regione Lombardia (Nord-ovest ed Emilia-Romagna)[9], il livello quali-quantitativo di industria, servizi e settore finanziario non sembrano essere sufficienti per contrastare il rischio di povertà e deprivazione.
I dati regionali sul rischio di povertà (Figura 9, Tasso di rischio di povertà), esattamente come quello di grave deprivazione (Figura 10, Tasso di severa deprivazione materiale), restituiscono una forte difficoltà (strutturale) della Lombardia nell’affrontare con appropriatezza la marginalità della popolazione. Per entrambi gli indicatori, sebbene la Lombardia sia leggermente migliore rispetto alla media del Nord-ovest, l’Emilia Romagna si posiziona strutturalmente su livelli inferiori di disagio socio-economico.
In ragione delle differenze con l’Emilia-Romagna è possibile affermare che il governo della Pubblica Amministrazione è un aspetto tutt’altro che trascurabile nella predisposizione di provvedimenti coerenti per attutire l’impatto della povertà. Ai dati sulla povertà potremmo anche aggiungere quelli sui tassi di abbandono scolastico (e quindi sulla scarsa mobilità sociale), dove la Lombardia presenta valori sistematicamente più bassi della media italiana e spagnola, ma ben più elevati di Francia e Germania (Nel 2019: Lombardia 15.4%, Germania 11.8% e Francia 9.6%). Ovviamente servono misure pubbliche che condizionano in primis il funzionamento del mercato[10]; tanto più urgenti in un sistema economico che polarizza il reddito proprio nel mercato, cioè prima dell’intervento pubblico, a cui dovrebbe associarsi una partecipazione pubblica nelle così dette Public Utility territoriali che possono correggere i “fallimenti del mercato”.
Inquadramento dell’intervento pubblico in Regione Lombardia(↑)
L’attuale struttura socio-economica lombarda non è solo frutto delle proprie dinamiche interne, ma dipende anche da relazioni internazionali che ne influenzano la dinamica. La Lombardia è “intimamente” interconnessa con l’Europa. In particolare, svolge uno storico ruolo di subfornitore di beni intermedi per la Germania. La domanda che arriva dagli altri Paesi e l’evoluzione della società hanno favorito dei processi importanti di adeguamento (parziale) della struttura economica e della società lombarda all’interno della così detta catena del valore, ma sono processi subiti o necessari per adeguarsi all’evoluzione del sistema economico europeo. La dinamica delle principali variabili economiche della Lombardia registra, alla fine, la difficoltà di struttura nell’adeguamento ai nuovi assetti tecnologici dell’economia europea e internazionale; una difficoltà che diventa tanto più grave tanto più il capitale e il lavoro sono privi della necessaria intermediazione (guida) pubblica. Inoltre, l’elogio dell’eccellenza lombarda come prassi della politica economica pubblica, ovvero il sostegno incondizionato dell’esistente, ha condizionato e abbandonato il capitale paziente, innovativo e il lavoro ad alto contenuto di conoscenza.
Considerando la spesa pubblica complessiva (Amministrazione Centrale, Regione Lombardia, Enti Locali, partecipate nazionali e locali) sul territorio lombardo, che cresce nel tempo dal 40% del 2000 al 50% del PIL nel 2019 (poco meno di 200 mld di euro), è lecito domandarsi perché queste risorse non siano state capaci di modificare il “motore della macchina” della Lombardia.
In prima approssimazione, possiamo domandarci se finanziare e promuovere eventi, ritenuti a torto o ragione fondamentali per la Lombardia, fosse la strada maestra per governare la transizione socio-economica necessaria. Inoltre, le amministrazioni pubbliche, nel tempo, più che cooperare e governare assieme il cambiamento, sembravano tese a ritagliarsi un proprio ruolo specifico. I territori provinciali, le amministrazioni comunali e la Regione Lombardia lavorano per garantire la propria visibilità, piuttosto che cooperare per raggiungere degli obbiettivi comuni.
La politica economica, evidentemente, non è riducibile al sostegno di eventi particolari, sebbene importanti. Il suo ruolo dovrebbe piuttosto puntare a delle misure che sappiano costruire delle catene del valore coerenti con l’esistente struttura regionale, e al contempo interconnesse con i principali settori economici europei.
Conclusioni(↑)
Le considerazioni riportate nelle precedenti sezioni portano a sfatare la retorica della Lombardia come “motore trainante d’Italia”. Una narrazione che si è spesso basata su slogan, quasi mai su dati o fatti verificati, e che rimane ancorata ad un passato ormai troppo lontano (storicamente poteva anche avere un senso definire la Lombardia come la locomotiva del paese). L’immagine che abbiamo delineato tramite le analisi è quella di una regione che nel contesto italiano ha ancora margine per brillare e guidare il paese (reddito medio pro-capite nettamente più elevato, crescita degli investimenti e della produzione sistematicamente migliore della media nazionale), ma che al suo interno è piuttosto instabile (crescita della produzione e degli investimenti molto contenute e un mercato del lavoro con un peso basso sulla ricchezza generale). In Europa, la sola regione Lombardia ha un peso specifico pari ad alcuni paesi membri UE, eppure la sua struttura sociale e tecno-economica sembra fortemente in affanno rispetto ai vicini di casa. Non solo, la presenza di grandi industrie e di servizi sembra insufficiente per proteggere il benessere sociale e la ricchezza della popolazione rispetto ad altre regioni europee. In tutto ciò, ci si deve domandare cosa possa fare la politica regionale (in affiancamento a quella nazionale e locale) per sostenere il sistema lombardo. Consapevoli del fatto che le regioni hanno competenze solo su alcune materie (prima fra tutte sanità, politiche del lavoro e trasporti), ciò che è lecito aspettarsi è che su tali materie l’impegno istituzionale sia credibile. La buona riuscita di qualunque politica, anche la più semplice, però, necessità di conoscere in maniera dettagliata i propri punti di forza e le proprie debolezze (senza essere disfattisti o senza piangersi addosso). Tale presa di coscienza deve essere oggettiva e supportata da informazioni precise, a maggior ragione in un tempo di risorse limitate, di incertezza su scala globale, in cui gli interventi devono essere mirati e non lasciati al caso.
Note:
[1] La spesa in sanità occupa la larga maggioranza del bilancio di Regione Lombardia: per il 2019, la spesa in sanità è stata di poco più di 20 miliardi su un totale di spesa pubblica (consolidata per missione) regionale di 27 miliardi (circa il 75%). Nostra elaborazione su dati MEF (https://openbdap.rgs.mef.gov.it/)
[2] Solo per dare una idea dei diversi livelli di spesa sanitaria pro-capite, si ricorda che quella lombarda è pari a 2.630, un poco meglio della media nazionale pari a 2.473 euro, rispetto a 3.644 della Francia, 4.550 della Germania e 3.679 dei Paesi Bassi. La Spagna è il Paese che ha una spesa pro-capite in linea con la Lombardia
[3] https://www.espon.eu/refugee
[5] Si faccia riferimento alla Sezione 4.2 e al Grafico 4.1 del report al seguente link: https://www.espon.eu/sites/default/files/attachments/MIGRARE_Final_Report.pdf
[6] Il confronto tra Germania e regione Lombardia è appropriato se considerando le similitudini nelle caratteristiche di struttura (economico-sociale) tra le due aree (Si veda Variato, Maranzano, and Romano (2020) per un confronto articolato sulla struttura tecno-economica di Italia, Francia, Germania e Spagna)
[7] Minsky (2009), Keynes e l’instabilità del capitalismo
[8] Sylos Labini (2005), Torniamo a classici. Produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico, Laterza, Roma-Bari: “gli investimenti hanno due conseguenze ritardate: spingono in alto la capacità produttiva e accrescono la produttività”, p. 58
[9] La comparazione internazionale è, infatti, difficile in ragione dei diversi livelli di reddito e delle diverse misure di tutela del mercato del lavoro e della assistenza sociale.
[10] Il riferimento teoriche corre veloce alla Teoria dei sentimenti morali di A. Smith, così come ai suggerimenti di Atkinson (2015) Inequality. What Can Be Done?, Tradotto in Italia Disuguaglianza. Che cosa si può fare?, Raffaello Cortina Editore.
Bibliografia essenziale(↑)
Atkinson, A. B. (2015). Inequality: What Can Be Done?
Minsky, H. P. (2009). Keynes e l’instabilità del capitalismo (B. Boringhieri Ed.): Universale Bollati Boringhieri.
Sylos Labini, P. (2005). Torniamo ai classici. Produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico (Laterza Ed. 3 ed.): Laterza.
Variato, A. M., Maranzano, P., & Romano, R. (2020). Rotta Next Generation: tra narrazioni ed evidenza empirica, le sfide del possibile orizzonte della politica economica italiana (Next Generation EU: challenges for the possible horizon of Italian economic policy between narratives and empirical evidence). Moneta e Credito, 73(291), 30. doi:10.13133/2037-3651_73.291_2