Il racconto della giornata di lunedì 16 gennaio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. È finita oggi, dopo 30 anni, la latitanza di Matteo Messina Denaro: l’arresto è scattato alla clinica privata La Maddalena, nel cuore di Palermo, dove il boss mafioso stava seguendo cure post operatorie. La guerra in Ucraina è destinata a durare ancora a lungo e oggi lo confermano almeno due notizie, dalle pressioni sulla Germania affinché dia il via libera all’invio dei suoi carri armati a Kyiv alle esercitazioni dell’aviazione bielorussa insieme a quelle di Mosca. Al via Forum Economico di Davos, ma l’Italia manda il ministro dell’Istruzione Valditara e, con lui, un chiaro segnale.
È finita dopo 30 anni la latitanza di Matteo Messina Denaro
(di Alessandro Principe)
Trent’anni di latitanza. L’inafferrabile, il fantasma con il volto di una vecchia foto sbiadita, era lì, a Palermo. Alla clinica privata La Maddalena, nel centro della città, lo conoscevano da tempo: lui ci andava sotto falso nome: Andrea Bonafede. Così era registrato nei documenti e le cartelle cliniche. Lì era stato operato di tumore al fegato nel 2021. Poi ricoverato in day hospital per sei volte in due anni. E lì stava seguendo le cure post operatorie, i cicli di chemioterapia. Il boss era all’ingresso. La clinica intanto era stata circondata dai carabinieri col volto coperto dal passamontagna davanti a decine di pazienti. Mentre stava per salire in auto per allontanarsi, un militare si è avvicinato e gli ha chiesto come si chiamasse. “Mi chiamo Matteo Messina Denaro”, ha risposto il boss. Ed è scattato l’arresto. Non sappiamo nulla – al momento – del suo covo. Se fosse lì, a Palermo, o altrove. E non è un dettaglio, data l’importanza simbolica ma anche per le indagini sulla sua latitanza, le coperture, la rete del boss. Ora si trova in una località segreta dove è stato portato subito dopo la cattura. Dovrà scontare l’ergastolo a cui è stato condannato per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, per le stragi del 1992, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del 93 a Milano, Firenze e Roma.
Matteo Messina Denaro, classe 1962. Aveva trent’anni quando partecipò al gruppo strategico creato da Totò Riina per uccidere Giovanni Falcone. Il suo ruolo in quella stagione fu centrale e le cose che conosce cruciali per la ricostruzione completa di quella stagione mafiosa. Ai nostri microfoni Piero Grasso, già procuratore capo di Palermo e Procuratore Nazionale Antimafia:
Quanto dovremo aspettare perché si chiariscano i contorni dell’arresto del boss?
(di Raffaele Liguori)
Qualche giorno fa, un autorevole cronista con 40 anni di esperienza in fatti di mafia, scriveva che dell’arresto di Totò Riina il 15 gennaio del 1993 (30 anni fa) oggi sappiamo ancora molto poco. Quanto dovremo aspettare perché si chiariscano i contorni dell’arresto di Messina Denaro avvenuto soltanto una manciata di ore fa? Restano una serie di interrogativi. Perché 30 anni di latitanza prima di arrivare all’arresto? È successo così anche per Riina, mentre per Provenzano gli anni in fuga furono addirittura 43.
In realtà più che in fuga i boss di cosa nostra arrestati sono rimasti sempre nei loro domini, nel territorio siciliano, compreso l’arresto di Messina Denaro.
E allora, di quali protezioni ha goduto il boss di Castelvetrano?
E perché la rete ad un certo punto ha ceduto? 30 anni fa Riina fu venduto da Balduccio di Maggio, l’ex autista. E oggi quali sostegni può aver ricevuto Messina Denaro?
E ancora: Messina Denaro è stato un capo dei capi di cosa nostra, come Riina? La studiosa di mafia Alessandra Dino preferisce definirlo solo un leader e non “capo dei capi”.
Semplice leader o capo dei capi che fosse, che cos’è la cosa nostra di oggi? È ancora la potentissima organizzazione mafiosa stragista voluta da Riina? Messina ne avrebbe modificato in parte il profilo criminale: da mafia violenta a mafia più interessata alle dimensioni imprenditoriali, minacciate dall’accresciuto peso criminale della ndrangheta
Infine, ultimo interrogativo: gli arresti dei boss di cosa nostra degli ultimi decenni sono avvenuti sempre in concomitanza con svolte nella politica. Esiste una qualche forma di relazione tra il passaggio dalla prima alla seconda repubblica nel ‘93. E poi il ritorno del centrodestra berlusconiano al governo nel 2006 (con gli arresti di Provenzano) e oggi con il primo governo a guida dei post-fascisti di Giorgia Meloni.
Il governo italiano snobba Davos, e fa sognare i complottisti di tutto il mondo
(di Luigi Ambrosio)
Ci sono capi di Stato e di Governo, ci sono delegazioni di grandi Paesi composte dai più importanti ministri, e ci sono ovviamente le personalità apicali del mondo economico e finanziario. Non bisogna stupirsi di questo: il Forum Economico di Davos è forse il principale appuntamento annuale dell’economia internazionale.
Ci si dovrebbe invece stupire della povertà sconcertante della presenza italiana. Il governo Meloni a Davos ha inviato il ministro dell’Istruzione Valditara. Cosa c’entri Valditara con i temi che si discutono in Engadina è un mistero.
Verrebbe da pensare che Valditara è esponente di quella cultura reazionaria che vede in Davos uno dei simboli del mondo da combattere, il mondo dell’economia e della finanza globali, della società aperta, del liberalismo. E che quindi la sua presenza a Davos sia il segnale di una ostilità ideologica. Speriamo di no.
Immaginiamo che il governo italiano non si sia ridotto a inseguire il delirio dei complottisti secondo cui Davos è appena un gradino sotto Soros e la finanza ebraica nella scala del male. E allora la scelta di inviare una delegazione così debole è solo incapacità di comprendere l’importanza dell’appuntamento. E a ben vedere è il rischio che stiamo correndo non solo a Davos. Il rischio che l’Italia precipiti ai margini della politica internazionale.
La guerra in Ucraina è destinata a durare ancora a lungo
(di Emanuele Valenti)
La guerra in Ucraina è destinata a durare ancora a lungo. Anche oggi lo confermano almeno due notizie.
La prima. È aumentata ancora la pressione sulla Germania, affinché dia il via libera all’invio dei suoi carri armati a Kyiv. Compresi quelli in dotazione ad altri paesi europei. In queste ore lo hanno chiesto nuovamente la Polonia – che ha dei carri armati tedeschi – e la Gran Bretagna – che invece ha già autorizzato l’invio dei suoi mezzi e si è spinta a dire che questo cambierà il corso della guerra. Ma perché questo possa succedere sul serio è necessario, come minimo, che altri – Berlino in testa – facciano lo stesso.
Venerdì si riuniranno proprio in Germania i paesi che stanno supportando militarmente l’Ucraina e solo questa mattina il cancelliere Scholz ha perso la Ministra della Difesa, Lambrecht. Per una serie di questioni interne ma probabilmente anche per una differenza di vedute sull’Ucraina.
La seconda notizia. L’aviazione bielorussa ha cominciato due settimane di esercitazioni congiunte con quella russa. Minsk, come ha sempre fatto, ha detto che le sue azioni hanno unicamente scopo difensivo, ma i vertici militari hanno anche commentato che la situazione sul confine con l’Ucraina non è tranquilla e che Kiev ha messo in campo una serie di provocazioni.
Gli ucraini non escludono una nuova invasione russa anche da nord, quindi anche dal confine bielorusso. Sul campo intensi combattimenti nella parte alta del Donbas, anche Bakhmut. E secondo i russi 10 droni ucraini abbattuti sopra la Crimea. Dopo aver parlato con Putin Erdogan si è riproposto come mediatore. Ma questo non sembra proprio il momento della diplomazia.