di Luca Parena
Alla stazione Centrale di Milano, in mezzo alla folla, è facile passare inosservati. Più difficile essere ignorati alla sera tardi, quando le presenze si diradano. Eppure, spesso, è quello che succede ai migranti di passaggio per la città verso altre destinazioni. Uomini, giovani, qualche volta anche intere famiglie fuggono da Afghanistan, Iran, Siria diretti verso l’Europa Centrale. Percorrono migliaia di chilometri attraverso la penisola balcanica. Da Milano ci passano magari per una notte e hanno enormi difficoltà a trovare un posto dignitoso anche solo per riposare poche ore. Non mangiano da giorni, addosso hanno vestiti, sempre glistessi da settimane, con cui hanno superato prove che solo la disperazione può
spingerti ad affrontare.
Storie come queste, dove in gioco c’è la vita delle persone, ci sfiorano tutti i giorni. Sono in pochi quelli che scelgono di ascoltarle e di farlo per cercare di aiutare questi migranti a proseguire il loro percorso. Alì (nome di fantasia) è uno di quelli che prova a dare una mano. Da qualche mese collabora con l’associazione Rete Milano, da anni impegnata a dare sostegno ai migranti di passaggio. In stazione Centrale incrocia esperienze di lotta per la sopravvivenza, come quella che gli ha raccontato un gruppo di transitanti, la sera precedente il nostro incontro.
La presenza di Alì è preziosa soprattutto nelle ultime settimane. È nato e cresciuto in Iran, ma da quasi dieci anni vive a Milano con la sua famiglia. Così può facilitare le comunicazioni tra gli attivisti e le attiviste di Rete Milano e i profughi, sempre più numerosi, fuggiti dall’Iran da quando il regime reprime con la violenza le proteste di piazza. Alì chiede di non usare il suo vero nome perché la famiglia ha ancora contatti con il suo Paese. Grazie a lui, raccogliamo la testimonianza di un uomo iraniano arrivato poche ore prima a Milano dopo un durissimo viaggio di quaranta giorni. In Iran, la polizia lo ha identificato mentre partecipava a una protesta. Per scampare alla prigione, ha lasciato tutto.
Chi è costretto ad abbandonare la sua vita nel suo Paese, una volta arrivato in Italia non trova un sistema di accoglienza all’altezza dei bisogni che ha, dice Alì. Spesso gli sembra che non ci sia nemmeno un’accoglienza: “Ieri sera quando sono passato in Centrale c’era una marea di ragazzi, cinque o sei non avevano praticamente nulla, nemmeno un paio di scarpe – racconta – io vedo però solo volontari e associazioni cercare di fare qualcosa per loro. Il governo non fa praticamente nulla”.
Con il suo guardaroba solidale in zona Lambrate e con l’idea di offrire la massima accessibilità a chi vive una situazione di emergenza, Rete Milano si occupa in modo particolare di queste persone. Quelle che sono definite “irregolari”, di passaggio, in una condizione che dall’accoglienza delle istituzioni finisce per non essere intercettata. Fausta Omodeo è la presidente di Rete Milano.
L’accoglienza dei minori non accompagnati è un punto delicato a Milano. Più volte l’assessore comunale al Welfare, Lamberto Bertolé, ha detto che non ci sono più posti né personale per ospitarli in città. Due su tre, anche se sono già in carico al sistema dell’amministrazione, non ricevono tutto il sostegno a cui avrebbero diritto. Come racconta Fausta Omodeo, la tutela dei minori non accompagnati in transito è ancora più complicata.
Foto | Pagina Facebook Rete Milano