Il movimento di proteste in Iran ha coinvolto oltre 160 città e tiene duro da più di cento giorni, coinvolgendo soprattutto zone periferiche abitate da minoranze etniche e linguistiche e le grandi città. La repressione sta però riuscendo a ridurne l’impatto, concentrandosi con enorme violenza da subito proprio contro le zone calde (90 morti solo in un giorno, il 30 settembre, a Zahedan, capitale del Beluchistan nel Sud-Est del paese) e poi con 20mila arresti e condanne a morte esemplari per giovanissimi manifestanti accusati di “agire contro dio”.
La fotografia della protesta di Paola Rivetti, docente di Relazioni internazionali alla Dublin City University, esperta del mondo persiano:
Ai movimenti nelle aree azere, curde, baluch che proseguono le loro mobilitazioni e contro i quali si scaglia anche la retorica dei “nemici dell’unità nazionale”, corrisponde una maggiore isolamento ora dei movimenti urbani, composti da giovani, studenti nelle strade, mentre comincia a muoversi una élite culturale che vede artisti, intellettuali, mondo dello spettacolo e dello sport schierarsi in maniera diretta e, quindi, essere colpiti anche dalla repressione come successo ad esempio all’attrice Taraneh Alidousti, protagonista del film premio Oscar “Il Cliente”, arrestata a metà dicembre per il suo sostegno alle proteste e contro l’uso della pena di morte da parte dello Stato (in precedenza aveva postato la sua foto senza velo sulla sua pagina Instagram, tenendo in mano un foglio con la scritta “donne, vita, libertà”), rilasciata su una cauzione astronomica di 225mila euro il 4 gennaio dal temibile carcere di Evin. Non è la sola intellettuale colpita, forse la più famosa.
La mobilitazione ha creato tantissima informazione sulle app e social, ma anche grande difficoltà negli ultimi mesi a raccogliere notizie vere: il caso emblematico sono proprio i morti, gli arresti e la repressione in generale. Il regime alza una cortina, il mondo interno all’Iran e fuori, prova a bucarla in ogni modo: abbiamo visto usare cartelloni pubblicitari di compagnie telefoniche con scritto “quali sono i tuoi piani?”, taggati con lo spray con una risposta appropriata: “Rivoluzione” (potete vedere la foto qui). Sono soprattutto gli account twitter e telegram a essere usati.
Dall’altra parte c’è il regime che non accenna a mitigare la repressione, non concede aperture, chiede solo il ripristino dello status quo, anzi vorrebbe in alcuni suoi esponenti maggiore rigore per l’obbligo del velo per le donne. Qualche voce però si alza dai laici che appoggiano il regime, anche nella politica. Una partita complicata che vede ad esempio, l’ex presidente per 8 anni Mahmoud Ahmadinejad, conservatore e tradizionalista, parlare esplicitamente di «repressione» e chiedere al regime di «ascoltare la voce del popolo perché potremmo non avere la possibilità di recuperare in futuro».
L’ex presidente se la prende letteralmente contro le «gang corrotte» dei servizi di sicurezza e d’intelligence, che non possono «etichettare tutti come ‘anti-regime’» in un chiaro tentativo di dividere le proteste tra buoni (la maggioranza che comunque sosterrebbe un regime meno conservatore) e i cattivi ovvero le minoranze, i giovani, le donne organizzate politicamente che chiedono libertà nelle loro scelte vitali, politiche, sessuali. È l’ultimo di un piccolo gruppo di laici che anche da destra sta considerando le proteste una occasione per ridimensionare in parte il potere dei mullah.
E il resto del modo cosa fa? Qualcuno condanna a parole, ma la partita è come sempre geopolitica e per l’Europa si traduce nel non spingere gli ayatollah nell’abbraccio dell’unico alleato sicuro: la Russia.