Quando si parla di vite i numeri andrebbero dimenticati. Soprattutto se un’esistenza resta impigliata nel dramma del disagio psichico, finisce rinchiusa dietro le sbarre di un carcere e da lì non esce più. Eppure pensare che in un solo anno più di 80 persone possano suicidarsi sposta forse inevitabilmente lo sguardo sull’enormità di quanto è successo.
Da quando queste morti vengono registrate nelle carceri italiane, da oltre vent’anni, non c’è mai stata una situazione peggiore di questa, avvenuta nel 2022.
Ogni suicidio ha ragioni intime, insondabili, ma anche permeabili al contesto esterno. Nel 2022 si sono intrecciati tanti grandi problemi: la coda della pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi economica ed energetica. La tutela dei detenuti retrocede così sempre più indietro nell’ordine delle priorità. Il periodo più difficile è stato agosto con un suicidio ogni due giorni. Non è sorprendente: meno personale di sostegno, meno attività a riempire il tempo di senso, più fragilità davanti alla disperazione.
In Italia, in carcere, i suicidi sono 16 volte più frequenti che nella società.
Nella maggioranza dei casi, quasi due su tre, le vittime avevano tra i 20 e i 40 anni. Alle spalle, meno di sei mesi di detenzione, in alcuni casi erano alla prima o alla seconda notte in un istituto di pena. Lo stigma sociale, segno incancellabile di una relazione che non funziona tra il carcere e la società, pesa ancora di più di qualsiasi carenza strutturale. Anche se ridurre il sovraffollamento di una popolazione di oltre 56 mila detenuti resta la prima cosa da fare per Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà.
A fine 2022, invece, circa 700 detenuti “semiliberi” torneranno a dormire in carcere dopo due anni e mezzo di licenza di trascorrere la notte fuori dagli istituti. È in scadenza la misura decisa per limitare i rischi di contagio da Covid, per ridurre l’affollamento nelle celle. Riguardava solo coloro che già uscivano ogni giorno per lavorare ed erano ben avviati nel loro percorso di reinserimento sociale. Ora, senza che abbiano commesso alcun errore, questi detenuti rischiano di fare dei passi indietro nel loro cammino verso l’autonomia.
Anche questo è un preoccupante segnale di disattenzione della politica. Per Alessio Scandurra, dell’Osservatorio nazionale dell’associazione Antigone, le linee di intervento per affrontare i problemi delle carceri non sono in discussione. Lo è la volontà di cominciare a farlo per davvero.
di Luca Parena