Quello del Qatar è stato il primo vero mondiale ai tempi della globalizzazione. La finale ha superato la soglia dei 2 miliardi e mezzo di telespettatori, un terzo dell’umanità di cui più di tre quarti non ha mai giocato calcio. Ed è questa la potenza di questo sport: vendere una narrazione che ha una base sportiva, ma che lascia spazio a sentimenti di tutti i tipi, come quelli che tifavano per le squadre più deboli sperando improbabili riscosse, o di coloro che vogliono credere nella fiaba sociale del povero diventato miliardario e famoso. Calcio come narrazione globale, ma anche come vetrina dei potenti. Non siamo più ai tempi delle dittature militari che volevano darsi una parvenza di legalità, ma all’uso del calcio per sancire una potenza economica e rivendicare un ruolo tra i grandi. Per questo il calcio sempre di più scorrerà lungo due binari, quello sportivo senza il quale non esisterebbe e quello politico-economico con le potenze vecchie e nuove che si contendono la sede della prossima kermesse. Il calcio oramai è diventato uno spettacolo che non conosce frontiere, che si può organizzare anche in mezzo al deserto, purché la palla continui a circolare grazie ai bambini e alle bambine di tutto il mondo che correranno dietro un sogno
Il Mondiale della globalizzazione è finito…per ora
-
Alfredo Somoza
Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)