Il racconto della giornata di lunedì 5 dicembre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Bankitalia commenta la manovra finanziaria del governo Meloni e riprende i dati dell’Inps per dire che senza il “reddito” ci sarebbe stato un milione di poveri in più. La CGIL, intanto, sta incontrando tutti i partiti e prende tempo sulla decisione di una manifestazione nazionale contro la manovra finanziaria. Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina segna l’ennesima cesura nella Lega, tra la storica ala nordista e quella recente nazionalista. In Ucraina la strategia russa non cambia, ma lungo la linea del fronte, nel sud e nell’est, le truppe di terra non riescono ad avanzare, da entrambe le parti.
Le critiche di Bankitalia alla manovra targata Meloni
(di Alessandro Principe)
Dal Reddito di Cittadinanza, al contante, fino alla flat tax e alle cartelle rottamate. Le critiche alla legge di bilancio sono tante e toccano proprio i punti più caratterizzanti, più politici. L’odiato Reddito di Cittadinanza, la cui abolizione è stata cavallo di battaglia in campagna elettorale, poi realizzata nella manovra, per Bankitalia è stata: “Una tappa significativa nell’ammodernamento del welfare nel nostro Paese”. Con quale risultato? Bankitalia riprende i dati dell’Inps per dire che senza il “reddito” ci sarebbe stato un milione di poveri in più. Una riforma serve, è vero, per rendere più efficace l’accompagnamento al lavoro. Ma siamo agli antipodi dell’impostazione del governo. Il tetto al contante: Bankitalia lo mette nello stesso filone della cosiddetta “pace fiscale”, ovvero la parziale sanatoria sulle cartelle esattoriali. Entrambi sono in contrasto con la modernizzazione del Paese e con la lotta all’evasione fiscale che – ricorda Bankitalia – è essenziale anche per il Pnrr. Tra l’altro i pagamenti con il Pos, sono più costosi per gli esercenti in termini di sicurezza, assicurazioni, trasporto valori. Anche sulla flat tax Bankitalia è molto critica perché rende il fisco più iniquo e a perderci sono i dipendenti, la discrepanza di trattamento a svantaggio di questi ultimi risulta accresciuta. Un regime a tassa piatta da una parte e di uno soggetto a progressività come l’Irpef penalizza ulteriormente i lavoratori dipendenti rispetto agli autonomi.
Landini prende tempo sulle mobilitazioni nazionali. Oggi l’incontro con Conte
(di Anna Bredice)
Mentre Landini era a colloquio con Conte, altri due vicesegretari stavano incontrando una delegazione di Fratelli d’Italia. Landini va a Bruxelles domani e quindi altri suoi vice incontreranno la Lega e Articolo Uno. E poi tutti i sindacati e Confindustia a Palazzo Chigi mercoledì per un vertice sulla manovra. Maurizio Landini non si lancia ancora nell’organizzazione di una manifestazione nazionale, sembra ancora impegnato a sondare il campo con questo giro di incontri, lascia andar al momento ancora da soli i partiti di opposizione nelle piazze, non si sa se ognuno per conto proprio, oppure insieme il 17. In ogni caso la Cgil prende tempo.
Certo, ci sono gli scioperi regionali, ma non è propriamente la stessa cosa, considerando l’impatto di una manovra economica di un governo di destra e le poche risposte che dà, anzi toglie, come nel caso del reddito di cittadinanza per combattere le diseguaglianze. L’incontro di oggi tra Conte e Landini, a sentire le loro dichiarazioni all’uscita, è andato bene. C’è sintonia tra il capo dei 5 Stelle e il leader della Cgil, soprattutto da quando Conte ha sterzato verso sinistra, tentando di recuperare i consensi che il PD intanto perdeva.
Landini ha dichiarato di condividere le battaglie dei 5 Stelle sul reddito di cittadinanza, sui salari, nella lotta all’evasione, ma a dieci giorni dalla manifestazione del PD non si è ancora creato un blocco di opposizione che unisca i partiti e i sindacati.
La Cgil sembra frenata, la Cisl oggi ha dichiarato di voler migliorare la legge di bilancio, una posizione che assomiglia a quella presa dal terzo polo. Il PD al momento è l’unico partito che ha indetto una manifestazione nazionale, alla quale Conte non ha ancora detto chiaramente se aderirà o meno. E dalle piazze l’opposizione si dovrà spostare anche in Parlamento, nel poco tempo che c’è per modificarla, ma al momento non ci sono proposte ed emendamenti comuni dell’opposizione.
Il Ponte della discordia: la Lega sempre più divisa
(di Fabio Fimiani)
Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina segna l’ennesima cesura nella Lega, tra la storica ala nordista e quella recente nazionalista. In mezzo ci sono il calo continuo di consensi e i congressi provinciali in Lombardia, dove sta emergendo un inatteso dissenso per il segretario Matteo Salvini.
Il tutto con i sondaggi verso le prossime elezioni regionali di febbraio, che potrebbero confermare il doppiaggio di consensi di Fratelli d’Italia sul Carroccio, come avvenuto il 25 settembre, nella regione simbolo della Lega, diventata ex lombarda, per volere del segretario.
La veemenza narrativa con la quale Salvini continua a proporre l’opera con atti e slogan mediatici, proprio non appartiene a quella storica base che ha vinto nei congressi di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e che per 12 voti non ha prevalso nella storica Varese.
Per i candidati segretari provinciali militanti ignoti, come a volte si definiscono gli autonomisti, il Ponte sullo Stretto di Messina non sarebbe neppure da discutere, trovandosi nella parte d’Italia da cui staccarsi, o comunque di cui non occuparsi.
D’altronde il Carroccio aveva imposto nell’agenda politica e istituzionale la questione settentrionale, sviluppandosi come sindacato delle regioni del Nord.
Dopo oltre un lustro senza un congresso la Lega si sta scongelando dall’era del segretario, che ha imposto la svolta nazionalista senza discussioni interne. I ruoli chiave nel frattempo sono stati quasi tutti ricoperti da ex giovani padani, cresciuti nell’ossequio acritico del capo.
Nonostante l’agitazione mediatica di Salvini, come quella contro l’uso della carta di credito, il segretario non riesce a fermare l’avanzata degli ex silenti storici federalisti e la discesa nei consensi, verso i nazionalisti originali di Fratelli d’Italia.
Anche in Provincia di Sondrio i leghisti hanno il timore di subire il sorpasso, uno smacco nella zona della Lombardia più autonomista, e dove stanno arrivando decine di milioni di euro di stanziamenti regionali prima del voto di febbraio.
Anche in Veneto sono iniziati i congressi della Lega, e a Rovigo ha prevalso il candidato vicino al presidente della giunta regionale Luca Zaia.
Proprio lui e il collega friulano Massimiliano Fedriga sono i più esposti per tornare al carroccio autonomista, finora hanno alzato progressivamente con molta cautela la discussione.
Il voto delle regionali lombarde avrà un peso sul futuro della Lega, e magari pure sulla sua linea nel governo. Anche se nei gruppi parlamentari Salvini ha fatto eleggere quasi tutti fedelissimi della sua corrente.
La strategia di Mosca in Ucraina non cambia, anche se non sembra funzionare
(di Emanuele Valenti)
I bombardamenti russi hanno colpito oggi diverse zone del paese. La maggior parte dei missili è stata intercettata dai sistemi di difesa. Secondo le autorità militari almeno 60 su oltre 70. Ma quelli che sono arrivati a destinazione hanno comunque centrato nuovamente importanti infrastrutture energetiche. Nella giornata nella quale dovevano finire i black-out di emergenza molti ucraini sono rimasti nuovamente al freddo e al buio.
È successo un po’ ovunque: Kyiv, Leopoli, Sumy, Zaporizhia, Odessa, Mykolaiv, Kryvyi Rih.
La strategia russa non cambia. Lungo la linea del fronte, nel sud e nell’est, le truppe di terra non riescono ad avanzare, da entrambe le parti. A Bakhmut, regione di Donetsk, e nei villaggi e nelle cittadine a ovest della stessa città di Donetsk la potenza di fuoco è notevole. Russi e ucraini continuano a mandare rinforzi. Ma appunto per ora la linea del fronte non si muove.
Difficile capire cosa possa succedere durante l’inverno. Mosca spera sempre che la campagna di bombardamenti aerei possa convincere gli ucraini a trattare, ma la strategia non sembra funzionare. Per ora a Kyiv prevale lo spirito di resistenza e il desiderio – armi occidentali permettendo – di ripristinare l’integrità territoriale del paese. Il ritorno ai confini del 24 febbraio è però una cosa, la ripresa di tutto il paese – quindi i confini del 2014 – è un’altra cosa ancora, molto diversa.
La responsabile dei servizi segreti americani, Avril Haines, ha detto che con ogni probabilità il ritmo dei movimenti militari del conflitto andrà a diminuire per risalire poi in primavera. Il punto è che tre mesi sono tanti e diverse cose potrebbero cambiare. Anche per questo gli ucraini vogliono proseguire la loro contro-offensiva, per riprendere più territorio possibile in un momento nel quale i russi – seppur con nuovi e importanti rifornimenti – sono ancora in difficoltà. Anzi, l’obiettivo è quello di impedire una loro riorganizzazione logistica.
Oggi ci sono anche state esplosioni in due basi aeree russe lontane dal confine ucraino.
In un caso sarebbero stati danneggiati due bombardieri. Almeno tre i morti. Il ministero della difesa di Mosca ha detto che è si è trattato di un attacco con droni ucraini. Kiev non ha rivendicato.
In tutto questo non si vede ancora spazio per una soluzione diplomatica. O meglio, non la vedono i diretti interessati. Putin non vuole cedere il territorio che controlla ancora – quasi la metà di quello occupato lo scorso febbraio – e chiede che vengano riconosciute le annessioni. Zelensky, come dicevamo, pensa che non sia ancora arrivato il momento di fermarsi, perché tra un po’ potrebbe essere in una posizione di forza ancora maggiore.
Molti attori esterni vorrebbero una fine negoziata della guerra, ma in generale non sono ancora convinti che questo sia il momento. Lo ha fatto capire Joe Biden la scorsa settimana.
Il presidente francese Macron ha nuovamente ricordato che in un eventuale negoziato bisognerà tener conto anche dei timori dei russi per la loro sicurezza. Quindi la presenza della NATO o di armi occidentali vicino alla frontiera russa.
Parole che comprensibilmente non sono piaciute agli ucraini, che prima di ogni altra cosa chiedono che venga fatta giustizia e che vengano processati i responsabili dell’invasione del loro paese.
Tutto dipenderà da quando si arriverà, se si arriverà, al tavolo delle trattative.
Anche nel caso di un rallentamento delle operazioni militari nel sud e nell’est dell’Ucraina, questo non sembra comunque il momento.