Approfondimenti

Meloni taglia il reddito di cittadinanza, le bombe turche nel nord della Siria, le violenze nel carcere di Ivrea e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di martedì 22 novembre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. La legge di bilancio è stata approvata dal governo e oggi è stata presentata dalla premier Giorgia Meloni: è una manovra che destina gran parte dei suoi fondi a contenere i prezzi dell’energia e che per il resto tocca tanti temi con misure a scarso impatto, tranne una: l’intervento sul reddito di cittadinanza. Meloni l’ha definito una misura sbagliata, annunciando che ora “finirà per chi può lavorare”. Nel nord della Siria continuano i bombardamenti aerei turchi: oggi sono stati colpiti villaggi ad est di Kobane, città curda simbolo della lotta all’Isis. La guerra in Ucraina, dove la situazione per la popolazione si fa sempre più preoccupante: si prevedono blackout prolungati per tutto l’inverno. Ci sono 45 persone indagate per i pestaggi ai detenuti nel carcere di Ivrea. Addio al cantautore cubano Pablo Milanés.

Il governo Meloni ha presentato la manovra di bilancio

(di Anna Bredice)

Parti sociali, Parlamento e Commissione europea attendono la manovra di bilancio firmata Giorgia Meloni nei prossimi giorni. La presentazione di questa mattina ha confermato che l’operazione più importante è il taglio, come con un’accetta, del reddito di cittadinanza per migliaia di persone. Da lì si prenderanno soldi per finanziare altre misure, forse la più rilevante oltre al cuneo fiscale, che aggiunge solo l’un per cento al 2 voluto da Draghi per i redditi fino a ventimila euro, è il mese in più del congedo parentale pagato all’80 per cento. Ma è quel taglio al reddito che mette il timbro a questa manovra, con un’operazione politica quasi punitiva, ma anche di immagine, perché togliere i soldi a cosiddetti occupabili, ma che con una recessione in corso il lavoro non lo troveranno, è una scelta di destra e come dice l’ex ministro Orlando “reazionaria e per niente improvvisata”. Un modo per Meloni di dimostrare che le promesse le ha mantenute, sulla pelle di chi si troverà senza sostegni, perché le altre promesse sono piccole bandierine che per ora servono a tenere buoni gli altri partiti, Lega e Forza Italia. Salvini passa dall’assicurare che va tutto bene, che meglio di così non si poteva, all’annunciare continue riunioni con i ministri leghisti e con i capigruppo in Parlamento, come dire siamo pronti a chiedere di più ma non posso dirlo. Del resto l’altra firma alla manovra è quella del ministro dell’economia Giorgetti, è lui il regista delle misure in continuità con il governo Draghi e la guardia ai cordoni della borsa, “c’era chi chiedeva scostamenti di qua e di là”, ha detto in conferenza stampa con un riferimento piuttosto chiaro al collega di partito Salvini. Berlusconi non si è ancora fatto sentire, si accontenterà dell’aumento delle pensioni minime, ma il mancato taglio al cuneo fiscale per le imprese non gli va ancora giù. La prima manovra di bilancio di Giorgia Meloni trova una presidente nervosa, irritabile e facile al vittimismo, come quando accusa i giornalisti che chiedono di poter fare domande di essere stati poco coraggiosi con altri leader e non con lei. Un po’ la solita sindrome di accerchiamento, solo che ora è al comando di un governo politico, non è più la leader dell’unico partito di opposizione.

Così ha vinto la falsa narrazione dei fannulloni da divano

(di Massimo Alberti)

L’imminente cancellazione del reddito di cittadinanza arriva dopo una campagna martellante fondata su un assioma falso: la volontaria disoccupazione di una massa di beneficiari del sussidio. La narrazione l’ha tradotta con l’immagine dei fannulloni da divano. Non è stata una campagna generata solo dalla destra oggi al potere, ma anche da grandi giornali, partiti della non destra che hanno ridotto il reddito a capriccio di una parte politica, costruendo il contorno ideologico al suo abbattimento:la povertà come colpa del singolo che non si impegna, la ricchezza, o solo la non povertà, come merito individuale. La destra ha fatto campagna riproponendo lo stesso schema usato per i migranti: mettere penultimi, operai, dipendenti vessati da precarietà e bassi salari, non contro chi causa tali condizioni ma contro gli ultimi, beneficiari di un sussidio di 500 euro rei di sottrar loro risorse, mentre le grandi rendite restano intonse. In cambio di poche decine di euro in busta paga. La realtà superata dalla narrazione: le truffe sono lo 0,02% delle erogazioni ma vanno in prima pagina, la disoccupazione non è volontaria in un paese dove ogni dieci disoccupati solo un posto di lavoro è disponibile, il lavoro stagionale brucia record storici tra i lamenti a reti unificate di albergatori “che non trovano personale”. Basta leggere una tabella Anpal o Inps per vedere, come ammesso anche dalla nuova ministra del Lavoro, che quasi tutti coloro che perderanno il sussidio, ”occupabili” sono solo sulla carta: per esclusione sociale, età avanzata, bassa scolarizzazione, perché da sempre o da tempo fuori dal mercato del lavoro. Per qualcuno si aprirà la porta del lavoro povero, con la reintroduzione dei voucher in agricoltura e turismo. Una narrazione basata su falsi presupposti con cui si cancella la principale riforma di welfare degli ultimi decenni, per far cassa sulla pelle di qualche centinaia di migliaia di poveri.

Sulla manovra economica nel suo complesso abbiamo chiesto una valutazione a Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci, che riunisce decine di organizzazioni della società civile impegnate sui temi della spesa pubblica e della giustizia sociale

In Ucraina i black-out andranno avanti per tutto l’inverno

(di Emanuele Valenti)

Per gli ucraini sta cominciando uno degli inverni più duri di tutta la loro storia.
E questo sarà anche un elemento strategico e politico nella guerra contro la Russia.
Il gestore della rete elettrica ha detto che l’impatto dei bombardamenti sulle infrastrutture energetiche è stato colossale. E i russi colpiranno ancora.
In sostanza quasi tutte le centrali sono stati colpite o interessate dai raid delle ultime settimane. Una strategia, quella del Cremlino, molto precisa: mettere in ginocchio il paese, arrivare dove non si riesce con le truppe di terra, forzare gli ucraini a trattare. Il piano non sembra funzionare, almeno nel suo ultimo passaggio, ma per i civili la situazione è seriamente critica. Una delle società energetiche ha anticipato che con ogni probabilità i black-out andranno avanti per tutto l’inverno, fino al prossimo marzo. Il presidente Zelensky ha fatto un nuovo appello ai suoi concittadini, chiedendogli di risparmiare più energia possibile e di mettersi nelle condizioni di non accusare il freddo. La prima neve è già caduta ovunque. Fuori dalle grandi città c’è già chi non sa cosa scegliere tra raccogliere la legna oppure evitare il rischio di far esplodere una mina. In questo contesto si inserisce l’evacuazione, sponsorizzata dal governo, dai territori appena riconquistati dagli ucraini a sud, Mykolaiv e Kherson. Sono già partiti i primi treni, diretti verso altre zone del paese. Nel sud le infrastrutture sono state colpite anche dalla guerra sul campo.

Continuano i bombardamenti turchi nel nord della Siria

(di Serena Tarabini)

Nel nord della Siria continuano i bombardamenti aerei turchi: oggi sono stati colpiti villaggi ad est di Kobane, città curda simbolo della lotta all’Isis. Gli attacchi si inseriscono nell’operazione Spada d’artiglio lanciata sabato dalla Turchia, che ha già causato decine di morti nei territori curdi in Siria e in Iraq. Questa mattina Mosca ha lanciato un avvertimento all’alleato turco: “la Siria non va destabilizzata” ha detto il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov, invitando Ankara a “non eccedere nell’uso della forza”, un chiaro riferimento al possibile intervento di terra annunciato da Erdogan come imminente. Proprio oggi però il presidente turco è tornato a minacciare un’offensiva militare con carri armati e artiglieria contro le forze curde. Ascoltiamo il servizio di Serena Tarabini

Ci sono 45 persone indagate per botte e torture nel carcere di Ivrea

(di Guglielmo Vespignani)

Botte, soprusi, privazioni. Violenze che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avvenivano regolarmente da anni nei confronti dei detenuti del carcere di Ivrea. Per questa ragione 45 persone, tra agenti di polizia penitenziaria, medici, funzionari ed ex direttori della casa circondariale, hanno ricevuto stamattina altrettanti avvisi di garanzia.
Torture fisiche e psichiche nei confronti dei detenuti, falso in atto pubblico e altri reati collegati le ipotesi contenute nel fascicolo. Documentata anche l’esistenza di una “cella liscia” e di una “cella acquario”. Così venivano chiamate le stanze del carcere dove le persone private della libertà sarebbero state chiuse, malmenate, tenute in isolamento e private dei loro diritti più elementari, compreso quello di comunicare con i propri legali. L’incubo sarebbe andato avanti fino a pochi giorni fa. “I reati risultavano tutt’ora in corso, l’intervento degli inquirenti era inevitabile” si legge nel comunicato stampa della Procura uscito dopo la notifica degli avvisi di garanzia. Una ricostruzione che ricorda le raggelanti immagini delle torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere di marzo 2020. Queste 45 persone fanno arrivare ad oltre 200 il numero degli operatori penitenziari indagati, imputati o già passati in giudicato all’interno di procedimenti che riguardano episodi di tortura o violenza all’interno delle carceri italiane.

Addio al cantautore cubano Pablo Milanès

(di Marcello Lorrai)

Nato a Bayamo, nell’oriente di Cuba, nel 1943, Pablo Milanès da bambino si esibisce come musicista ambulante nei caffè dell’Avana, cantando bolero e canzoni messicane. Negli anni Cinquanta si avvicina al movimento del Filin, ma dopo la vittoria di Castro, nel nuovo clima rivoluzionario, l’impasse in cui si è arenato il romanticismo del filin spinge Milanès a rivalutare la canzone tradizionale cubana. A partire dal primo Encuentro Internacional de la Canción Protesta, che porta a Cuba cantanti impegnati da ogni parte del mondo, nella seconda metà dei Sessanta Milanes inizia un percorso che lo porta ad affermarsi come il più importante esponente, insieme a Silvio Rodriguez, del movimento della Nueva Trova. Milanès scrive omaggi a Che Guevara e, dopo il golpe in Cile, ad Allende, così come canzoni d’amore che diventano popolarissime: e anche nel ribadire il suo legame con Cuba e con la Rivoluzione le sue canzoni si mantengono sempre all’altezza di una alta qualità poetica e musicale e lontane da un impegno didascalico. Dagli anni Ottanta Milanès, spesso all’estero, diventa famoso in tutto il mondo. Sempre amatissimo in patria, non ha nascosto negli ultimi decenni il suo punto di vista critico sulla situazione a Cuba, pur senza mai rinnegare la Rivoluzione: per questo, in un momento così difficile per l’isola, la perdita di una figura tanto autorevole e unificante, è particolarmente dolorosa per Cuba.

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