Si conosceranno solo nei prossimi giorni i dettagli della legge di bilancio, ma una cosa è certa: delle promesse elettorali della destra non è rimasto praticamente nulla.
Intendiamoci, forse è perfino meglio così, ad esempio le pensioni minime a mille euro ci avrebbero portato la Troika in casa nel giro di pochi mesi, ma è incredibile l’abisso tra quello che hanno promesso per vincere le elezioni e quello che stanno facendo adesso.
Prendete, ancora, le pensioni: milioni di anziani e quasi anziani avevano creduto di potersene andare dopo aver lavorato 41 anni e sì, formalmente quota 41 ci sarà ma legata a un’età anagrafica di almeno 62 anni, quindi in totale fa quota 103, vale a dire che questa è una norma peggiorativa rispetto alla quota 102 decisa dal governo Draghi.
Oppure prendete le tasse, la promessa di un’aliquota massima del 23 per cento per tutti, diceva Berlusconi, no del 15 per cento, rilanciava Salvini: tutte balle, adesso si parla solo ed eventualmente di alcune fasce di lavoratori autonomi e comunque il taglio sarebbe solo sul guadagno in più rispetto all’anno precedente, insomma briciole.
Di nuovo: è meglio così, probabilmente, ma è impressionante la differenza tra il linguaggio populista usato in campagna elettorale e il crudo realismo di questa legge di bilancio così simile a quelle di Draghi.
Siamo abituati, certo, a politici che una volta eletti si dimenticano di quello che avevano detto prima. Ma qui siamo un po’ oltre: se i capi della destra oggi dovessero pagare un euro per ogni promessa lanciata al vento dell’estate avremmo già risanato i conti dello stato.