La guerra in Ucraina va ben oltre lo scontro tra Mosca e Kyiv. Nell’Europa dell’est sta infatti andando in scena l’ultima fase dello scontro geopolitico tra Russia e Occidente. Ma con il passare dei mesi la crisi ha coinvolto anche altri attori. La sua dimensione internazionale si sta declinando in vario modo, coinvolgendo altri attori della comunità internazionale. Una di queste declinazioni è evidente dalle notizie che arrivano dal campo in questi ultimi giorni. I ripetuti raid russi su città e infrastrutture civili con droni, molto probabilmente di produzione iraniana.
Kyiv sostiene di averne intercettati e colpiti più di 200 e di avere le prove che i droni siano arrivati dall’Iran. Sulla stessa linea Europea e Stati Uniti. Proprio da qui le sanzioni occidentali di oggi. Teheran e Mosca negano. I russi sostengono che le armi usate in Ucraina siano di loro produzione e hanno anche chiesto alle Nazioni Unite – invitate dagli ucraini – di non aprire un’inchiesta sulla vicenda.
Questa settimana il tema è stato al centro di una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza ONU. Formalmente l’Occidente sostiene che il trasferimento di armi dall’Iran alla Russia violi una delle risoluzioni ONU approvate a supporto dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015. Accordo praticamente morto dopo l’uscita degli Stati Uniti voluta nel 2018 dall’amministrazione Trump, ma allo stesso tempo accordo da tempo al centro di un complicatissimo negoziato che punta proprio a farlo ripartire.
In realtà la questione è politica e sottolinea ancora una volta i difficilissimi rapporti tra Iran e Occidente e l’allineamento degli Ayatollah con Russia e Cina, anche se sulla vicenda ucraina Pechino sta tenendo una posizione decisamente defilata. E se guardiamo alla dimensione internazionale della guerra in Ucraina da una prospettiva iraniana possiamo vedere anche altri due elementi.
Il primo. L’uso dei suoi droni sul territorio ucraino e l’inevitabile visibilità che ne consegue potrebbero anche contenere un messaggio per i nemici di Teheran in Medio Oriente, soprattutto Israele. In questi giorni diversi analisti israeliani hanno confermato di seguire gli sviluppi molto da vicino, anche dal punto di vista tecnico, come funzionano questi droni kamikaze.
Il secondo elemento. La visibilità potrebbe fare anche il gioco dell’Iran, che produce circa l’80% dei suoi armamenti e punta anche a diventare un esportatore importante. Quindi un attore sul mercato delle armi. Secondo i media americani Teheran avrebbe mandato in Crimea dei suoi uomini per addestrare i russi all’uso di questi droni.
Mentre l’agenzia Reuters sostiene che a inizio ottobre Iran e Russia abbiano raggiunto un’intesa per la vendita non solo di droni ma anche di missili.
Un’ultima considerazione, allargando ulteriormente l’orizzonte.
Negli ultimi anni queste armi sono state utilizzate sempre di più nei conflitti in giro per il mondo. Le hanno usate più volte, per esempio, i ribelli yemeniti Houthi contro l’Arabia Saudita.
Secondo Il Centro per lo Studio sui Droni del Bard College, negli Stati Uniti, ci sono ormai un centinaio di modelli, sviluppati o prodotti in 24 paesi. E nel conflitto in Ucraina ne sono stati usati diversi.
In questi giorni si parla molto dei droni di produzione iraniana, usati probabilmente dai russi, ma nei mesi scorsi Mosca ne ha usati anche di suoi, e in generale avrebbe utilizzato oltre dieci modelli diversi di droni.
Gli ucraini, da parte loro, avrebbero invece usato mezzi arrivati da Stati Uniti – diversi modelli – e Turchia. All’inizio della guerra i droni turchi venivano impiegati per colpire le truppe di Mosca oltre la linea del fronte. Prima che Biden si convincesse a fornire a Zelensky artiglieria di lunga gittata i droni turchi erano l’arma più potente sul campo in mano all’esercito ucraino.
Abbiamo citato più volte le ambizioni di Erodgan come grande mediatore di questa crisi. La questione armi rende ancora più pesante il ruolo di Ankara.