Un’opera ironica con il compito di denunciare un intero periodo storico. Il prestigioso Booker Prize di quest’anno va al libro di Shehan Karunatilaka, ambientato a Colombo nel 1989, che racconta la storia di un fotoreporter che si risveglia morto durante la guerra civile nello Sri Lanka.
Non sa chi l’ha ucciso e cerca di capire chi possa essere stato, ma sembra essere impossibile a causa degli innumerevoli attentati suicidi e degli assalti da parte di squadroni della morte che colpivano soprattutto la capitale. La guerra civile nel Paese asiatico durò 26 anni, dal 1983 al 2009: fu uno scontro tra il governo e il gruppo militare separatista Tigri del Tamil Eleam, che aveva l’obiettivo di fondare uno Stato indipendente nel Nord e nell’Est dello Sri Lanka.
Furono anni di attentati alla popolazione che portarono – si stima – tra le 80 e le 100mila vittime. Uno scontro che terminò nel 2009 con la resa delle truppe separatiste dopo l’ennesima sconfitta militare. Ancora oggi, poco si sa di quegli anni bui: da un lato a causa dei governi che ostacolano la giustizia e coprono diversi gravi casi di abusi umanitari avvenuti durante il conflitto; dall’altro, perché vengono arrestati i dissidenti, costringendo all’auto-censura di questi. Tornando al romanzo, Maali Almeida, il personaggio principale, ha 7 giorni – da qui il titolo – affinché le persone a lui vicine riescano a trovare alcune sue foto nascoste, foto che raccontano i crimini perpetrati durante quel periodo buio e che scatenerebbero una grande rivolta in tutto il Paese.
La speranza dello scrittore è che, in un futuro non troppo lontano, ci sarà in Sri Lanka la consapevolezza che corruzione, razzismo e clientelismo non hanno mai funzionato, e mai lo faranno.
(di Andrea Miniutti)