Il racconto della giornata di domenica 16 ottobre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. In Ucraina mentre continuano i raid aerei russi su diverse città, l’esercito di Kiev annuncia una contro-offensiva sulla regione di Zaporizhzhia e continua l’attacco al Donbass con bombardamenti anche oggi sulla capitale Donetsk, dove è stato colpito il palazzo del governo filo-russo, in diretta, per noi dalla capitale della Regione Luca Steinman. La grande coda di paglia dei post fascisti. Per la prima volta da sempre, Meloni e i post fascisti celebrano con toni enfatici l’anniversario della deportazione degli ebrei da Roma: il rastrellamento del Ghetto di Roma di 79 anni fa è diventato l’occasione per la destra che si appresta a governare di spostare l’attenzione dal profilo politico di estrema destra dei nuovi presidenti eletti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana ed Ignazio La Russa. Non a caso sono stati numerosi i comunicati e le dichiarazioni, a partire da quello di Giorgia Meloni. La presidente del consiglio in pectore prima ricorda la “furia nazifascista” del 16 ottobre 1943 poi attacca la sinistra: “nessuno ha il diritto di farmi gli esami del sangue”. A Parigi oggi erano in 140mila a manifestare contro il caro bollette chiamati dalla sinistra di Melenchon, da sindacati e Ong. Tra i manifestanti anche la premio Nobel della letteratura Annie Ernaux. Cambia l’aria sulla pillola gratuita e i nuovi numeri sul lavoro migrante nel dossier statistico del centro studi Idos.
A Pechino è iniziato il congresso del Partito comunista
E’ iniziato oggi a Pechino il XXesimo congresso del Partito comunista cinese con 2.300 delegati che nomineranno i dirigenti che guideranno il partito per il prossimo quinquennio, compresi i vertici assoluti, a partire dalla conferma inedita per un terzo mandato del leader Xi Jinping, segretario generale del Partito, presidente della Repubblica e capo delle Forze Armate. Nessuno prima di lui, anche perché era vietato dalla costituzione che Xi Jinping ha fatto cambiare. Il servizio del nostro collaboratore da Pechino, Gabriele Battaglia
Potrebbe essere la volta buona per un accordo europeo sul gas
(di Massimo Alberti)
Dovrebbero essere le ore decisive per arrivare, finalmente, a un accordo nell’Unione Europea sul pacchetto di interventi sul prezzo del gas e sull’energia. Martedi la Commissione dovrebbe presentare il pacchetto. Ma non tutti i nodi sono ancora sciolti. L’Europa arriva con soli sei mesi di ritardo, forse, ad un piano di misure che in gran parte gli stati stanno già applicando da soli, e in altri casi è la crisi ad aver innescato. Pensiamo alla possibile introduzione dell’obbligo di riduzione della domanda, ovvero i razionamenti, del 15%. La crisi delle bollette, se prendiamo i due principali paesi manifatturieri, Italia e Germania, ha già innescato un calo di richiesta che va dal 15 al 30%, centrata proprio nell’industria. Questo, a sentir gli esperti, non mette comunque al riparo il continente, nel caso di un inverno particolarmente rigido, dall’eventuale stop totale dell’import dalla Russia. Superate per mancanza di accordo ipotesi su possibili tetti, è ancora tutto da definire come sarà il meccanismo di controllo sul prezzo. La strada dovrebbe essere doppia: da una parte acquisti comuni sperando che così i paesi esportatori siano disponibili a ritrattare il prezzo. Dall’altra cambiare l’indicizzazione del prezzo. Ma anche qui non è chiaro come: se un indice alternativo al famigerato ttf di Amsterdam, con la definizione di un intervallo di prezzo, o sdoppiando il prezzo del gas usato per produrre elettricità, sul modello spagnolo. Infine, un accordo che garantisca la solidarietà tra stati in caso di difficoltà negli approvvigionamenti, quella stessa solidarietà che fino ad oggi è mancata con ciascun Paese che si è mosso per suo conto. Sono ore di trattative, poi il piano sarà sul tavolo del vertice europeo di giovedì e venerdì, che dovrebbe sancire l’eventuale accordo politico tra gli Stati.
Il lavoro migrante è lavoro povero
Il nuovo dossier statistico del centro studi Idos si concentra sul lavoro migrante e mostra proprio come le forme di lavoro povero si concentrino soprattutto tra i lavoratori stranieri. Il luogo comune razzista del migrante fannullone viene subito smentito da un dato: in Italia gli stranieri sono il 10% degli occupati, pur rappresentando l’8,8% dei residenti. Guardando gli altri dati si capisce perché in distretti come quello di Prato, lotte sindacali che cercano di evidenziare, e di migliorare, condizioni di lavoro spesso oltre lo sfruttamento, riguardino in particolare lavoratori stranieri. Il 63,8% svolge professioni non qualificate o demansionate rispetto alla propria formazione, è il 25% tra i lavoratori italiani. Il 19,6% lavora in part time involontario, il doppio rispetto ai lavoratori italiani. Insomma si concentra una quota rilevante di lavoro povero. Gli stranieri svolgono anche in ampia quota i lavori considerati fondamentali, ma che spesso sono anche quelli più sottopagati. Sono il 15,3% degli occupati nel settore degli alberghi/ristoranti, il 15,5% nelle costruzioni, il 18,0% in agricoltura e ben il 64,2% nei servizi alle famiglie. Se contiamo però tasse, contributi, accise, il saldo netto tra uscite economiche ed entrate legate all’immigrazione è stato ancora una volta positivo di circa 1,3 miliardi a vantaggio delle casse dello Stato. Nonostante quindi contribuiscano al benessere collettivo, ne restano sempre più esclusi. Nel 2021 gli stranieri in povertà assoluta o che non riescono a soddisfare i bisogni essenziali è 5 volte più alta che tra gli italiani. Ciò nonostante, le limitazioni legislative spesso arbitrarie quando non rivelatesi illegali, impediscono a stranieri residenti sul territorio italiano, di accedere a servizi sociali cui avrebbero pieno diritto.
Lombardia e Veneto frenano sulla pillola gratuita
Sui diritti civili è già cambiata l’aria. Le regioni di destra, Lombardia e Veneto in particolare, stanno bloccando la gratuità della pillola anticoncezionale che l’Agenzia del farmaco sta discutendo da un paio di settimane. Le rappresentanti delle due regioni, nonostante l’orientamento favorevole dell’Agenzia, hanno chiesto in chiave ostruzionistica un ulteriore approfondimento che impedirebbe una decisione prima della scadenza delle attuali cariche, che sarebbe poi il nuovo governo a dover rinnovare. A oggi solo Emilia Romagna, Toscana, Puglia e Lazio offrono la gratuità del contraccettivo, riclassificati a pagamento dall’Aifa nel 2016 su spinta dell’attuale responsabile sanità del Partito Democratico, Beatrice Lorenzin, che allora era ministra della Salute. “Un ostruzionismo puramente ideologica. Paghiamo anni ed anni di ritardi e ora ci si trova a decidere con questa destra al governo” commenta la ginecologa e attivista Marina Toschi.