Il racconto della giornata di martedì 11 ottobre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il presidente dell’Ucraina Zelensky ha partecipato a un incontro del G7: ha chiesto nuovi sistemi di difesa aerea e proposto di mandare osservatori internazionali lungo il confine con la Bielorussia. Il segretario generale della Nato, Stoltenberg, è tornato invece sul rischio di un attacco nucleare – “non abbiamo registrato movimenti dell’arsenale russo ma rimaniamo vigili” – e ha ribadito l’unità dell’Alleanza Atlantica di fronte a un eventuale attacco di Mosca alle infrastrutture di uno dei paesi membri. Nelle ultime ore – stando almeno alle dichiarazioni ufficiali – sembra che la Russia voglia giocare anche la carta della diplomazia. Un 2023 di recessione per Italia e Germania, crescita frenata per tutta l’Eurozona, ma anche per Stati Uniti e Cina. Queste sono le nuove previsioni del Fondo monetario internazionale, che confermano per il 2022 una crescita globale al 3,2%, ma che tagliano quella stimata per il 2023, abbassata al 2,7%. L’Oxfam, nel suo rapporto annuale, esprime forte preoccupazione per la situazione italiana e per l’ipotesi del nuovo governo di togliere il reddito di cittadinanza.
La nuova strategia militare russa
(di Emanuele Valenti)
Da giorni stiamo parlando di una continua escalation e ovviamente dobbiamo chiederci cosa possa fermare tutto questo. La risposta dovrebbe essere: la diplomazia. Sta arrivando il momento del dialogo? Difficile. Sulla carta i russi si dicono pronti a parlare con gli americani.
Oggi il ministro degli esteri Lavrov ha ribadito quanto detto ieri dal Cremlino: “siamo pronti a considerare un incontro Putin-Biden”. La questione dovrebbe essere discussa a metà settimana da Putin ed Erdogan, perché la Turchia – come fatto già nei mesi scorsi – potrebbe mediare. L’ipotesi è di un faccia a faccia tra il presidente americano e quello russo a margine del G20 di metà novembre in Indonesia. Lavrov ha precisato: “non abbiamo ancora ricevuto una proposta”. Mosca sta cercando di provocare una mossa dell’amministrazione Biden. Ma questo non sembra il momento: Kyiv è contraria a ogni compromesso e vuole riprendere più territorio possibile. Gli stessi occidentali sperano che le difficoltà di Putin portino a un’ulteriore ritirata delle truppe di Mosca nel sud e nell’est dell’Ucraina. Il Cremlino non vuole cedere i territori annessi, come chiedono invece i suoi avversari. E lo stesso Biden non ha intenzione di legittimare Putin con un incontro. Il vertice del G7, oggi pomeriggio, ha ribadito proprio che le annessioni non verranno mai riconosciute e che Putin deve rispondere per i raid di questi giorni. Secondo i media americani i canali del dialogo tra Washington e Mosca sono ancora aperti. La contrapposizione è massima e la fiducia sotto zero. Bisognerebbe arrivare a una pura intesa militare per evitare che si entri in un territorio totalmente sconosciuto.
In questo momento la strategia militare russa, viste le difficoltà sul campo, sembra quella dei raid, dei bombardamenti. Ma si tratta di una strategia sostenibile sul lungo periodo? Lo abbiamo chiesto a Pietro Batacchi, Direttore Rivista Italiana Difesa
Continuano le trattative per il governo
(di Anna Bredice)
Giorgia Meloni alla camera, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi nella villa del capo di Forza Italia. È l’immagine del futuro governo, chi deve decidere da una parte, gli altri due che attendono le scelte, i sì o i no, senza riuscire a nascondere un certo disappunto per una posizione subordinata rispetto ad un partito che solo pochi anni fa era molto più in basso di loro e perlopiù guidato da una donna. Il toto ministri è fatto anche di riunioni, dichiarazioni all’uscita del Parlamento dove si attende per registrarsi, frasi che sono messaggi che devono arrivare a chi deve sapere. Molinari della Lega, che dice “stiamo lavorando per Calderoli al Senato”, mentre da altre parti danno per sicuro La Russa, dimostra che anche sulle presidenze di Camera e Senato le scelte non sono già chiuse. Su La Russa, eventuale seconda carica dello stato, pesa il video che sta girando in queste ore della sua casa con simboli e busti di Mussolini. Dopo parecchi No di tecnici di alto livello all’economia, tra questi Panetta, oggi il candidato a sostituire Franco e ad occuparsi di Pnrr sembra essere Giorgetti della Lega, un passo indietro per Giorgia Meloni perché l’esponente leghista, spesso in disaccordo con Salvini, si occupa sì di economia, ma è una figura molto politica e gli screzi tutti interni alla Lega potrebbero indebolire il governo. C’è poi la questione Berlusconi e Ronzulli: il Cavaliere, che giovedì sarà di nuovo al Senato, dopo 9 anni dalla sua cacciata, non cede rispetto alla sua fedelissima che ha sostituito come assistente Maria Rosaria Rossi. Per lei un ministero di primo piano, ora si parla di Turismo. Tajani varia dagli Esteri allo Sviluppo economico. Berlusconi avrebbe messo gli occhi anche sulla Giustizia, ma sarebbe forse troppo per tutte le vicende giudiziarie del passato e poi quel posto sembrerebbe già dedicato a Giulia Bongiorno. Domani altre riunioni e poi anche se fortemente intrecciate, in serata si dovranno sciogliere tutti i dubbi sulla seconda e terza carica dello Stato.
Si moltiplicano le piazze per la pace (e la caccia al consenso)
(di Luigi Ambrosio)
La situazione politica italiana, in relazione alla guerra, è la seguente: nella nuova maggioranza tutto tace, a parte una dichiarazione di Meloni che annuncia continuità. Le nuove opposizioni sono, come da tradizione, divise. Nella maggioranza Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia sono talmente attraversati da dissidi e ambiguità, basti pensare ai rapporti di Berlusconi e Salvini con Putin, che il silenzio è consigliabile.Tra le opposizioni sono tutti per la pace ma rigorosamente ciascuno contrapposto all’altro. Dire “in guerra” uno contro l’altro in effetti suonerebbe poco elegante. Conte ha lanciato l’idea di una manifestazione pacifista agli inizi di novembre. Il Pd risponde con Letta che parteciperà alla manifestazione di fronte all’ambasciata russa giovedi. Calenda annuncia una propria manifestazione a Milano. Anche Unione Popolare sarà a Milano, ovviamente non con Calenda. E per concludere si aggiunge il presidente della Campania, De Luca, che vuole organizzare una sua iniziativa.Che senso ha? Ricercare un’unità tra chi si ispira a un pacifismo senza se e senza ma e chi ritiene che la pace passi attraverso il ritiro della Russia dai territori occupati, tra chi è a prescindere contro le armi e chi è a favore del diritto alla difesa armata contro un invasore è difficilissimo e probabilmente impossibile. Questo non impedirebbe la possibilità di condurre un dibattito ampio, importante, approfondito.Prevale un’altra logica. Conte è stato il più scaltro e nella sua strategia di riposizionamento “a sinistra” mettersi alla testa di un movimento pacifista è molto utile. Quelli di Unione Popolare sarebbero pure d’accordo con lui ma andare in piazza insieme significherebbe far perdere loro visibilità. Letta deve tenere insieme il suo partito e allora va a protestare contro i russi sapendo che un pezzo del Pd potrebbe essere in piazza con Conte. Calenda la pensa come Letta ma non si mischia al Pd.Non ci sarebbe niente di male, anche questa è la politica, se non fosse così preponderante la ricerca del consenso.
Secondo le stime del Fmi il peggio deve ancora venire
Un 2023 di recessione per Italia e Germania; crescita frenata per tutta l’Eurozona, ma anche per Stati Uniti e Cina. Queste le nuove previsioni del Fondo monetario internazionale, che confermano per il 2022 una crescita globale al 3,2%, ma che tagliano quella stimata per il 2023, abbassata al 2,7%. L’Italia cresce più del previsto nel 2022, con il pil in salita del 3,2%, grazie alla ripresa dei servizi turistici e della produzione industriale.
La previsione è però di un forte rallentamento nel 2023: meno 0,3 per Berlino e per Parigi, meno 0,9 per Roma, meno 0,2 per Londra, meno 0,8 per Madrid. Il fondo avverte anche che il peggio deve ancora arrivare, il riferimento è soprattutto alla guerra in Ucraina e all’aumento dei prezzi dell’energia in Europa. Ascoltiamo Francesco Saraceno, economista a Sciences Po e vicedirettore dell’osservatorio francese di congiunture economiche
Il rapporto di Oxfam sulle disuguaglianze
(di Massimo Alberti)
L’economia mondiale arriva a questa nuova crisi con forti fragilità, soprattutto sul piano delle disuguaglianze, conseguenza della crisi della pandemia. L’Oxfam, nel suo rapporto annuale, esprime forte preoccupazione per la situazione italiana e per l’ipotesi del nuovo governo di togliere il reddito di cittadinanza.
Cosa intendiamo, in concreto, quando diciamo che il mondo, o almeno la maggior parte, arriva a questa nuova crisi con una forte fragilità? Parliamo in particolare dell’inadeguatezza dell’intervento pubblico per ridurre le disparità sociali, lasciando quindi più esposti alle conseguenze della crisi le fasce di reddito più basse. Nel rapporto Oxfam e Development Finance International rileva che sui 161 Paesi presi in considerazione, metà dei paesi a basso e medio-basso reddito ha registrato una contrazione della spesa sanitaria, questo soprattutto a causa del debito che continua a pesare come un macigno. E Oxfam rilancia la campagna per cancellarlo. Quasi la metà di tutti i Paesi esaminati sono stati interessati da tagli alla spesa sociale e il 70% dei Paesi ha ridotto la propria spesa per l’istruzione. Mentre la povertà lavorativa ha raggiunto livelli record e oggi l’inflazione erode il potere d’acquisto dei lavoratori, continua Oxfam, due terzi dei Paesi analizzati non hanno incrementato i salari minimi nel biennio 2020-2021. O, ancora, nonostante gravi difficoltà per le finanze pubbliche, 143 governi su 161 non hanno redistribuito il carico fiscale sui redditi più elevati e 11 Paesi lo hanno persino ridotto. Anche Oxfam, come prima l’Istat, conferma che l’Italia ha tamponato la situazione con gli interventi dello stato sociale, in particolare col reddito di cittadinanza, esprimendo forte preoccupazione per l’intenzione di cancellarlo da parte del nuovo governo, le cui politiche, continua Oxfam, fanno semmai prevedere un ulteriore aumento delle disuguaglianze.