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Guarda che Lula! Dalla gestualità con le mani al mettere a disposizione la propria storia umana e politica

Guarda che Lula! Dalla gestualità con le mani (la L fatta con pollice e indice) al mettere a disposizione la propria storia umana e politica.

La campagna di Lula si chiama “speranza” e si rivolge alla parte povera del paese che parla di fame e dignità. La comunicazione qui altro non è che il potenziamento di una verità contrapposta a uno schieramento completamente speculare per valori e radicamento, quello del bellicoso Jair Bolsonaro, che vanta l’appoggio di calciatori ricchi e famosi, da Neymar a Kakà, alla corposa partecipazione della consorte Michelle, detta la Grace Kelly dei Tropici, che si è intestata l’elettorato femminile e e il voto evangelico (“il Brasile è di nostro signore Gesù”).

Anche la moglie di Lula, sociologa e militante, lo affianca. Una campagna elettorale insomma di forte polarizzazione politica, incentrata su una nettezza di opzioni programmatiche e visioni del mondo che, almeno da questo punto di vista e comunque la si pensi, possiamo forse invidiare. Un grazie al Festival di Internazionale e al pubblico intervenuto che dimostra come si sta costruendo uno sguardo nuovo sulla comunicazione come discorso pubblico, politica in senso alto, democratico. Sarà sempre più così, sempre più per tutti e sempre meno per i soli intenditori e operatori professionali.

Oggi vi leggiamo alcuni spunti di analisi sulla debacle elettorale del Pd che ci dicono che una parte dell’intellighenzia di “sinistra” non crede nel pubblico che ha davanti (questo è solo uno degli esempi). Di più, lo degrada, definendolo “popolo bambino”, capriccioso, illuso, umorale, incoerente, vuoto, ignorante. Sono categorie elitarie: la manipolazione, che riguarda sempre gli altri, e la superiorità culturale.

Se la democrazia sta diventando uno spettacolo senza pubblico per l’astensionismo, con queste analisi la platea non tornerà facilmente a riempirsi. Nella comunicazione delle imprese inquinanti si usa sempre più la parola “consapevole”, lo fa Esso, lo fa Eni, per dire che tocca a voi consumatori, la responsabilità ora è sulle vostre spalle (non sulle loro). Un altro grande della pubblicità è morto: Dan Wieden, il creatore del claim anzi dello slogan più influente degli ultimi decenni “Just do it”, soprattutto Dan Wieden è stato uno dei principali protagonisti di un passaggio generazionale che alla fine degli anni settanta ha trasferito la controcultura con il suo carico utopico e politicamente creativo, le sue necessità morali nel mondo della comunicazione.

Si può ovviamente avere un punto di vista anche negativo su quella stagione e quella transumanza diciamo così dalla contestazione al sistema ma è difficile non riconoscere la quantità di umanità, di irritualità, di interna rivolta e direi anche di disadattamento, di insofferenza per le logiche del business che questi personaggi hanno stabilito nel mondo della comunicazione. E se volete una prova, guardate questo progetto residenziale in Oregon di impronta antirazzista e inclusiva fondato da Wieden 25 anni fa e ancora attivo.

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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