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Fino a quando?

Fino a quando andrà avanti la guerra in Siria? Fino a quando racconteremo di centinaia di civili morti ogni giorno solo per non aver lasciato le loro case?

Quello siriano non è l’unico conflitto in corso. Anzi, ci sono altre guerre che in questo momento vengono raccontate molto meno, pensiamo allo Yemen. Ma la Siria offre l’esempio più eclatante dello stallo che caratterizza la comunità internazionale dopo la guerra fredda e dopo il periodo a supremazia americana, stallo che porta i governi occidentali a condannare le azioni di Assad ma allo stesso tempo gli impedisce di fare qualsiasi cosa per fermarlo.

Nemmeno le immagini di queste ultime ore, con i morti e i feriti sdraiati sul pavimento degli ospedali di Aleppo, riesce a smuovere la coscienza delle diplomazie occidentali. A volte per risolvere i conflitti la volontà e la determinazione dei singoli conta più della volontà politica dei governi. La fiducia tra pochi soggetti può forzare le parti a parlarsi e a cercare una soluzione condivisa. Ma il caso siriano è troppo complesso. Gli attori sono troppi, e molto spesso anche quelli che stanno dalla stessa parte hanno obiettivi diversi fra loro.

Anche il buon rapporto personale tra il segretario di stato americano Kerry e il ministro degli esteri russo Lavrov non è stato sufficiente. La stessa amministrazione Obama è stata divisa al suo interno sulla vicenda siriana e sulla posizione da assumere nei confronti di Mosca.

Questo cosa vuol dire? Che la guerra andrà avanti fino a quando tutti non avranno raggiunto qualcosa?

Non esiste più la guerra in Siria – ha raccontato a Radio Popolare un giovane siriano che oggi vive tra il sud della Turchia e la provincia siriana di Idlib. Ci sono tante guerre, che andranno avanti fino a quando il paese non sarà completamente distrutto. Toccherà a noi, oppure ai nostri figli, ricostruirlo”.

Quindi una guerra lunga ancora degli anni? La battaglia per i quartieri orientali di Aleppo, in corso in questi giorni, potrebbe dare indicazioni piuttosto precise. Il regime vuole assolutamente riprendere il controllo di quella che un tempo era la capitale economica del paese. Con Aleppo controllerebbe le principali città della Siria occidentale, quella più densamente popolata, e si presenterebbe a un eventuale tavolo politico da una posizione di forza. Assad potrebbe accettare di governare la Siria centrale e occidentale, e aspettare poi che russi e americani sconfiggano l’ISIS nell’est del paese.

Ma il governo siriano, con il consenso della Russia, è disposto a riprendere Aleppo anche uccidendo tutta la sua popolazione civile, oppure costringendola a fuggire, magari forzando i ribelli ad accettare una resa per fame. “Tra un mese, se la situazione dovesse essere ancora questa – ci ha detto in questi giorni un attivista di Aleppo – saremo costretti a uscire per andare a cercare cibo”.

La strategia ha già funzionato in centri più piccoli, soprattutto intorno a Damasco. Assad riprende il controllo di cittadine distrutte, completamente abbandonate, ma piano piano aggiunge un altro tassello alla riconquista del territorio.

L’occidente è disposto a stare a guardare con la coscienza a posto? I siriani distinguono ancora tra europei e americani, non fidandosi assolutamente più degli Stati Uniti, che si sono barricati dietro al rischio di una Siria in mano ai gruppi dell’estremismo islamico. “Speriamo che i nostri amici europei – ci ha spiegato Yahia Nanah, un politico dell’opposizione siriana a Haritan, a nord di Aleppo – facciano qualcosa per fermare questo Olocausto”.

Purtroppo gli europei non faranno nulla. L’unico cambio di rotta da un punto di vista politico potrebbe arrivare con le elezioni americane del prossimo novembre. Il nuovo presidente, soprattutto se sarà Hillary Clinton, dovrebbe adottare una politica estera più coraggiosa, ma non al punto da fermare il conflitto. Le tante guerre siriane si tradurranno in una probabile spartizione del paese, con altrettante zone d’influenza per gli attori regionali che in questi anni hanno combattuto l’uno contro l’altro sulla pelle dei siriani. Che sia ufficiale o meno la divisione del paese sembra inevitabile. Ma prima di accettare di non avere più il controllo di tutto il paese Assad vuole riprendersi Aleppo, a ogni costo. Questo vuol dire che la strage di civili andrà avanti ancora.

“È orribile – ci ha scritto un cittadino di Aleppo in queste ore – ci sono morti ovunque. Gli aerei e gli elicotteri colpiscono qualsiasi cosa”. Ma tutto questo, purtroppo, conta poco.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Il raggiungimento dell’accordo per un cessate il fuoco a Gaza è stato celebrato ovviamente anche dai Palestinesi della Cisgiordania, ma per loro il timore è che proprio la Cisgiordania sia stata data in pasto alla destra israeliana per farle digerire la tregua nella striscia. A Jenin Martina Stefanoni ha raggiunto Ahmad Odeh, cittadino palestinese.

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    - Il giorno dopo l'annuncio della tregua nella striscia di Gaza Israele continua a bombardare. La popolazione accoglie la notizia tra gioia e paura. (Mohammad, da Gaza) - Il governo israeliano non ha ancora firmato l'accordo. Netanyahu rimanda la riunione per la ratifica dell'intesa nel tentativo di placare l'estrema destra (Erica Salerno) - I palestinesi della Cisgiordania temono che proprio la Cisgiordania sia stata data in pasto alla destra israeliana per farle digerire la tregua nella Striscia. (Ahmad Odeh, da Jenin) - Marjan Satrapi rifiuta la Legion d'Onore francese denunciando "l'ipocrisia" di Parigi nei suoi rapporti con l'Iran. (Farian Sabahi) - Stati Uniti. I giornali americani si preparano alla presidenza di Donald Trump (Roberto Festa) - World Music. Musica e musicisti tra le vittime di 15 mesi di guerra a Gaza (Marcello Lorrai)

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