Gli ultimi casi sono di ieri pomeriggio: Nicola Fratoianni ha mollato il seggio uninominale di Pisa dopo la protesta del partito locale e al suo posto è tornato Stefano Ceccanti. In Piemonte invece la ex sottosegretaria all’economia grillina Laura Castelli ha rinunciato al seggio a Novara dopo che il PD locale si è rivoltato.
Castelli perse una causa per diffamazione col piemontese Fassino ed è colei che apostrofò il già direttore del Fondo Monetario Internazionale in Italia Pier Carlo Padoan con il celebre “questo lo dice lei” quando lui cercava inutilmente di spiegarle come funziona lo spread. Oggi sta con Di Maio il quale ha chiesto che le si trovi un posto.
Di Maio stesso è un problema per il PD, perché tra i suoi elettori la popolarità del Ministro degli Esteri è praticamente zero. E infatti Di Maio nel momento in cui scriviamo è candidato al proporzionale, capolista in Basilicata per la sua nuova formazione politica, ma non risulta sia candidato in un uninominale sicuro del PD. Ogni volta che si è fatto il suo nome in un territorio, ci sono stati problemi: a Napoli, a Milano, per non dire di Modena dove ancora gli elettori Pd si indignano quando ricordano le parole di Di Maio su Bibbiano.
Ma il problema del PD va oltre Di Maio. Ci sono interi territori che si sono ribellati per i cosiddetti paracadutati. Di Pisa, di Novara abbiamo detto, poi c’è il caso emblematico di Bologna dove 30 circoli PD hanno scritto a Letta per dire no alla ricandidatura di Casini. Casini è stato piazzato lo stesso, ma la domanda è se gli elettori Pd lo voteranno.
Se lo chiedono anche in Veneto, con insistenza, cosa faranno gli elettori Pd visto che anche in Veneto il partito è arrabbiatissimo perché le candidature arrivano quasi tutte da fuori, il territorio è stato trattato malissimo. E per tornare a Milano, anche nel capoluogo lombardo le polemiche per la stessa ragione non sono mancate, pur se in sordina.
Polemiche che si aggiungono al trattamento di certi big, come Amendola, ripescato solo perché un giovane candidato ha fatto una gaffe e ha dovuto lasciare il posto, oppure allo spettacolo non bello di altri pezzi grossi che hanno prima rifiutato candidature considerate difficili, e poi ci hanno ripensato, magari sull’onda della brutta figura social, come Monica Cirinnà o come Alessia Muroni.
Spettacoli che non fanno bene a una campagna elettorale già complicata, per usare un eufemismo.