Lo chiamano “colpo di stato fiduciario”.
Da questa mattina alle 9, nuovi sindaci “di fiducia” del governo hanno preso servizio in Turchia. Non si sono svolte delle elezioni amministrative: il giorno prima, il ministero dell’Interno turco ha deciso di rimuovere dal loro incarico i sindaci regolarmente eletti di 28 comuni del Paese.
Gli amministratori sono stati sospesi sulla base di un decreto legge approvato nell’ambito dello stato di emergenza che vige in Turchia dopo il fallito golpe del 15 luglio. Le accuse non sono solo quelle di appartenere alla rete di Fetullah Gülen, il religioso e magnate indicato come il fautore del tentativo di attacco allo Stato, ma anche e soprattutto di supportare il Pkk, partito dei lavoratori del Kurdistan, l’organizzazione armata che con la Turchia ha ingaggiato una sanguinosa guerra civile.
La maggior parte dei comuni che sono stati colpiti dal provvedimento, si trovano nel Sud est prevalentemente curdo, zone dove ad avere la maggioranza non è il partito di governo ma i partiti curdi e filo curdi. Di fatto, dei 28 sindaci rimossi, 24 appartengono ai suddetti partiti, in particolare all’Hdp, il partito democratico dei popoli, la terza forza politica del Paese e attualmente definibile come la principale opposizione a Erdoǧan. Il partito che nelle elezioni del giugno 2015 è riuscito a entrare per la prima volta in Parlamento e a togliere a quello del presidente Erdoǧan la maggioranza assoluta.
Due record che sia l’Hdp stesso, che la popolazione curda, hanno pagato caro: subito dopo quelle elezioni il governo turco ha unilateralmente interrotto i negoziati di pace con il Pkk, attaccando le sue postazioni militari in Iraq. È dal quel momento, quindi ormai da più di una anno, che la popolazione curda del Sud e dell’Est è sotto assedio: bombardamenti e coprifuoco hanno distrutto intere città e provocato più di mille vittime fra i civili.
All’attacco militare si è aggiunto anche quello politico. Già precedentemente, in seguito alla rimozione dell’immunità parlamentare , diversi esponenti del partito, fra cui anche i loro leader principali come Selattin Demirtaş e Figen Hüksekdaǧ, hanno ricevuto mandati di comparizione e richieste di pene fino a 15 anni per supporto morale al terrorismo.
Rispetto a questo ulteriore e grave provvedimento, in un comunicato stampa l’Hdp ha parlato di decisione inaccettabile, affermando che non sussiste differenza alcuna fra chi bombarda il parlamento e chi cancella la volontà popolare usurpando i municipi con un provvedimento illegittimo che non rispetta né le regole costituzionali né gli accordi internazionali sottoscritti dalla Turchia.
I sindaci rimossi erano stati eletti con percentuali di voto che andavano dal 65 al 95 per cento. “Obbiettivo del governo – continua nel suo comunicato l’Hdp – è quello di liberarsi di amministrazioni scomode; si tratta di un comportamento pericoloso oltre che illegale: questo non farà che aumentare l’esasperazione della popolazione che si vede sottrarre i rappresentanti che ha scelto, e intensificherà il conflitto nelle aree curde”.
In molti dei comuni e delle province dove le forze di sicurezza non hanno consentito ai sindaci eletti di entrare negli edifici municipali la popolazione locale ha protestato: le manifestazioni sono state attaccate dall’esercito con idranti e lacrimogeni, e alcuni deputati arrestati.
Anche un deputato del secondo partito del Paese, il social democratico Chp, ha definito il provvedimento come un golpe.
Solo pochi giorni fa altri undicimila insegnanti sono stati rimossi per le loro presunte relazioni con il Pkk: c’era da aspettarselo che la repressione post–golpe arrivasse a includere anche l’opposizione di sinistra curda e filo curda; che non ha niente a che fare con il tentato colpo di stato; ma da un anno a questa parte per Erdogan la questione curda non rappresenta più un’opportunità bensì un ostacolo sulla strada del potere assoluto.